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Rapporto Censis 2016: l’Italia che arranca

Emerge una Italia rentier, che si limita a utilizzare le risorse di cui dispone senza proiezione sul futuro, con il rischio di svendere pezzo a pezzo l’argenteria di famiglia. Le aspettative degli italiani continuano a essere negative o piatte. Il 61,4% è convinto che il proprio reddito non aumenterà nei prossimi anni, il 57% ritiene che i figli e i nipoti non vivranno meglio di loro. Il 63,7% crede che, dopo anni di consumi contratti e accumulo di nuovo risparmio cautelativo, l’esito inevitabile sarà una riduzione del tenore di vita. Fare investimenti di lungo periodo è una opzione per una quota di persone (il 22,1%) molto inferiore a quella di chi vuole potenziare i propri risparmi (il 56,7%) e tagliare ancora le spese ordinarie per la casa e l’alimentazione (il 51,7%). Quasi il 36% degli italiani tiene regolarmente contante in casa per le emergenze o per sentirsi più sicuro e, se potessero disporre di risorse aggiuntive, il 34,2% degli italiani le terrebbe ferme sui conti correnti o nelle cassette di sicurezza. Così, con una incidenza degli investimenti sul Pil pari al 16,6% nel 2015, l’Italia si colloca non solo a grande distanza dalla media europea (19,5%), da Francia (21,5%), Germania (19,9%), Spagna (19,7%) e Regno Unito (16,9%), ma è tornata ai livelli minimi dal dopoguerra.

Nel biennio 2014-2015 c’è stato un lieve recupero dei consumi (+2,1%) dopo la forte contrazione del periodo di crisi (-7,6% negli anni 2008-2013). Ma sono 26 milioni gli italiani che ancora oggi indicano come prioritario il contenimento delle spese quotidiane. In questi anni c’è stato però un «welfare dei consumi» riferibile all’operato dei player della distribuzione moderna organizzata, grazie alla leva dei prezzi e alle promozioni, che si è materializzato nella concreta possibilità per le famiglie di comporre un carrello della spesa articolato e modulato sulla propria capacità economica.

Censis: figli più poveri dei nonni

Il Rapporto Censis sulla Situazione Sociale del Paese 2016 rileva come, rispetto alla media della popolazione, oggi le famiglie dei giovani con meno di 35 anni hanno un reddito più basso del 15,1% e una ricchezza inferiore del 41,1%. Nel confronto con venticinque anni fa, i giovani di oggi hanno un reddito del 26,5% più basso di quello dei loro coetanei di allora, mentre per gli over 65 anni è invece aumentato del 24,3%. Il divario tra i giovani e il resto degli italiani si è ampliato nel corso del tempo, perché venticinque anni fa i redditi dei giovani erano superiori alla media della popolazione del 5,9% (mentre oggi sono inferiori del 15,1%) e la ricchezza era inferiore alla media solo del 18,5% (mentre oggi lo è del 41,1%).

Occupazione a bassa produttività

Nel periodo gennaio-agosto 2016, il contratto a tempo indeterminato è stato utilizzato nel 21,3% dei rapporti di lavoro attivati (nel 2015 la quota era molto più alta: 32,4%). I contratti a termine sono il 63,1% del totale. Boom dei voucher: 277 milioni di contratti stipulati tra il 2008 e il 2015 (1.380.000 lavoratori coinvolti) e 70 milioni di nuovi voucher emessi nei primi sei mesi del 2016. È il segnale che la forte domanda di flessibilità e l’abbattimento dei costi stanno alimentando l’area delle professioni non qualificate e del mercato dei «lavoretti». Alla nuova occupazione creata ha infatti corrisposto una bassa crescita economica. I nuovi occupati dall’inizio del 2015 sono associati a una produzione di ricchezza di soli 9.100 euro pro-capite. La produttività si è ridotta da 16.949 euro per occupato (I trimestre 2015) a 16.812 euro (II trimestre 2016). Se la produttività fosse rimasta costante, nell’ultimo anno e mezzo il Pil sarebbe cresciuto complessivamente dell’1,8% e non solo dello 0,9% come invece abbiamo registrato.

E’ cresciuto il peso delle professioni non qualificate (+9,6% nel periodo 2011-2015) e degli addetti alle vendite e ai servizi personali (+7,5%), mentre sono diminuite le figure intermedie esecutive, attive principalmente in ambito impiegatizio (-5,1%), e la componente operaia, degli artigiani e degli agricoltori (-14,2%).

Forte l’export del Made in Italy

L’Italia resta al 10° posto nella graduatoria mondiale degli esportatori con una quota di mercato del 2,8%. Nel 2015 il nostro Paese ha superato il 5% dell’export mondiale in ben 28 categorie di attività economica, tra cui alcune produzioni del made in Italy. Il saldo commerciale del made in Italy è stato di 98,6 miliardi di euro: più dell’export di merci complessivo (45,1 miliardi). È un settore in forte e costante crescita sui mercati internazionali grazie all’applicazione del paradigma del «bello e ben fatto», sia nelle produzioni fortemente «brandizzate» (l’alimentare, la moda, il design), sia in quelle dove il brand aziendale conta meno, ma che nel tempo hanno conquistato il segno distintivo di qualità e affidabilità (la meccanica di precisione).

Rapporto Censis 2016: cresce e si polarizza il turismo

Tra il 2008 e il 2015 gli arrivi di turisti stranieri in Italia sono aumentati del 31,2% e sono cresciute del 18,8% anche le presenze, ovvero i giorni di permanenza. Nell’ospitalità alberghiera va bene l’alta gamma: +50,3% di arrivi dal 2008 a oggi negli hotel a cinque stelle e +38,2% in quelli a quattro stelle, mentre crollano gli arrivi negli alberghi a una o due stelle (rispettivamente, -33,1% e – 22,4%). Il vero boom ha riguardato gli esercizi extralberghieri, con arrivi aumentati nello
stesso periodo del 32,5%: alloggi in affitto +58,6%, bed and breakfast +31,8%, agriturismi +48,1%.

Immersi nella corrente della comunicazione digitale

Tra il 2007 e il 2015 i consumi complessivi delle famiglie si sono ridotti del 5,7% in termini reali, mentre nello stesso periodo si registrava un vero e proprio boom della spesa per acquistare computer (+41,4%) e smartphone (+191,6%). «Fare da sé», saltando gli intermediari grazie ai dispositivi digitali, significa spendere meno soldi o anche solo sprecare meno tempo. Nel 2016 l’utenza del web in Italia è arrivata al 73,7% (nel caso dei giovani under 30 il dato sale al 95,9%), oggi il 64,8% degli italiani usa uno smartphone (l’89,4% nel caso dei giovani), per comunicare il 61,3% utilizza Whatsapp (lo fa l’89,4% dei giovani), il 56,2% ha un account su Facebook e il 46,8% guarda Youtube (rispettivamente, l’89,3% e il 73,9% dei 14-29enni), il 24% utilizza la piattaforma Amazon (contro il 38,7%), l’11,2% Twitter (contro il 24%). E per la prima volta nel 2015 il numero di sim abilitate alla navigazione in rete (50,2 milioni) ha superato quello delle sim utilizzate esclusivamente per i servizi voce (42,3 milioni).

Italiani più generosi

Anche nella crisi gli italiani hanno continuato a donare. I fondi raccolti da molte associazioni non profit e organizzazioni umanitarie sono aumentati in modo considerevole. Tra il 2007 e il 2015 Save the Children Italia è passata da 15,2 a 80,4 milioni di euro (+428,9%), con il numero di sottoscrittori aumentato da 137.328 a 408.500 (+197,5%), Emergency da 23,3 a 51,9 milioni (+123,3%), Medici senza frontiere da 35,9 a 52,3 milioni (+45,9%). Le raccolte economico delle famiglie: 2 milioni di euro per il terremoto del Molise (2002), 5 milioni per quello dell’Abruzzo (2009), 14 milioni per quello dell’Emilia Romagna (2012), 15 milioni per il sisma del Lazio, Umbria e Marche di quest’anno.

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