…l’ennesima sentenza di un tribunale sulla fecondazione assistita … cosa è cambiato ?
le sentenze dei Tribunali che hanno riconosciuto alle coppie il diritto di effettuare la diagnosi genetica preimpianto garantiscono il diritto a conoscere lo stato di salute degli embrioni e ad una decisione consapevole in ordine al trasferimento degli embrioni formati o al rifiuto del trasferimento
Considerando l’ormai corposa giurisprudenza in materia (19 sentenze in otto anni) la legge 40 del 2004 ha attualmente un’applicabilità ben diversa dal suo testo originario. Tra tutte le pronunce, la sentenza della Corte Costituzionale n.151 del 2009 è quella che maggiormente ha impresso una svolta decisiva nell’applicabilità della legge stessa. Essa infatti ha ritenuto incostituzionale l’obbligo (che pertanto è decaduto) di produrre al massimo tre embrioni e a impiantarli tutti contemporaneamente, ha riconosciuto al medico la possibilità di valutare il singolo caso «riducendo al minimo ipotizzabile il rischio per la salute della donna e del feto». Ciò permette al medico responsabile del trattamento di offrire alla coppia la strategia terapeutica più efficace nel singolo caso. Inoltre le sentenze dei Tribunali che hanno riconosciuto alle coppie richiedenti il diritto di effettuare la diagnosi genetica preimpianto esprimono un’ulteriore evoluzione nell’ assicurare la compatibilità della legge 40/2004 con i principi del nostro ordinamento giuridico, poiché in definitiva non si può prescindere dal consenso pienamente informato della coppia. Ciò si traduce nel diritto a conoscere lo stato di salute degli embrioni – nel caso ci fossero gravi malattie trasmissibili – e nel diritto a una decisione consapevole in ordine al trasferimento degli embrioni formati o al rifiuto del trasferimento.
Cos’è la Diagnosi Genetica Preimpianto (PGD) ?
Un ciclo di diagnosi preimpianto prevede le seguenti tappe: la stimolazione ovarica, il prelievo di ovociti, la fecondazione in vitro di più ovociti maturi, il prelievo di 1 o 2 cellule embrionali, l’analisi genetica delle cellule prelevate e, infine, la selezione e il trasferimento di embrioni non portatori dell’anomalia genetica in questione. L’indicazione medica è l’elevato rischio di trasmissione di una specifica malattia genetica di particolare gravità e incurabile al momento della diagnosi. Questo rischio era stato spesso individuato sulla base dei precedenti familiari o dalla nascita di un bambino affetto dalla malattia. Numerose sono attualmente le malattie analizzabili : la mucoviscidosi (fibrosi cistica), la distrofia muscolare di Duchenne, la distrofia miotonica di Steinert, la malattia di Huntington, la amiotrofia spinale infantile, l’emofilia e la talassemia (microcitemia).
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Il Caso
Una coppia infertile di Cagliari si è rivolta al Presidio Ospedaliero Microcitemico della propria ASL, dove è attivo un centro accreditato di fecondazione medicalmente assistita, per essere aiutati ad avere un figlio. Nel loro caso, gli specialisti hanno proposto di attuare una tecnica di fecondazione in vitro. Essendo la signora affetta da talassemia major e il coniuge portatore sano della stessa patologia, con un rischio quindi del 50% di generare un figlio malato, nell’ambito della fecondazione in vitro la coppia ha chiesto di poter effettuare un’analisi genetica degli embrioni per identificare quelli sani o semplici portatori di talassemia, evitando di trasferire in utero quelli certamente malati. Il Responsabile del centro ha spiegato che loro non eseguono tale analisi, sulla base del presunto divieto contenuto nella legge 40/2004. La coppia ha quindi fatto richiesta al Tribunale di Cagliari (luglio 2012) di essere tutelati nel loro diritto di conoscere lo stato di salute degli embrioni che produrranno, così come è indicato in un articolo della legge 40/2004 che regolamenta le procedure in materia di fecondazione assistita. Con una sentenza del 9 novembre 2012 il Tribunale ha accolto la richiesta della coppia riconoscendo il loro diritto e disponendo che il centro di fecondazione assistita presso l’Ospedale Regionale per le Microcitemie di Cagliari esegua la fecondazione in vitro corredata di esame diagnostico sugli embrioni e che trasferisca nell’utero della signora, qualora da lei richiesto, solo gli embrioni non malati, con crioconservazione degli ulteriori embrioni. Qualora la struttura sanitaria pubblica dovesse trovarsi nell’impossibilità di erogare la prestazione sanitaria tempestivamente in forma diretta, tale prestazione potrà essere erogata in forma indiretta, mediante il ricorso ad altre strutture sanitarie.
Un altro caso recente
Una coppia romana nel 2006 ha avuto una bambina con la fibrosi cistica: allora hanno scoperto di essere portatori sani della malattia. Nel 2010 la signora ha avuto un’altra gravidanza, si è sottoposta ad amniocentesi e il feto è risultato positivo alla malattia: quindi ha abortito. La coppia ora vuole un altro bambino, ma con la certezza che sia sano. Il che è possibile solo con una fecondazione in vitro e un’analisi genetica specifica degli embrioni. Poichè la coppia non ha problemi di fertilità (ossia ottiene facilmente una gravidanza spontanea) ciò è vietato dalla legge 40/2004 che consente esclusivamente alle coppie infertili di poter accedere alle tecniche di fecondazione assistita. Unica eccezione sono le coppie fertili il cui l’uomo sia portatore di malattie virali sessualmente trasmissibili come l’Hiv e l’epatite B e C. Pertanto la coppia, più di un anno fa, si è appellata alla Corte europea dei diritti umani, di Strasburgo. Con una sentenza dell’agosto 2012, la Corte di Strasburgo ha accolto il ricorso riconoscendo che la legge italiana viola la Convenzione Europea sui diritti umani in quanto viola il diritto al rispetto della vita privata e familiare. Inoltre dichiara che «il sistema legislativo italiano in materia di diagnosi preimpianto degli embrioni è incoerente» in quanto un’altra legge permette di accedere all’aborto terapeutico se il feto è malato di fibrosi cistica. La sentenza diverrà definitiva entro tre mesi se il Governo italiano non farà ricorso. La Corte sottolinea come coppie nella stessa situazione possano già ricorrere alla fecondazione in vitro e alla diagnosi pre-impianto (PGD) in 17 Paesi europei regolamentati espressamente da una legge e in altri 12 Paesi dove non è espressamente vietata.