Intervista a Costantino Troise, Segretario Nazionale dell’Associazione Medici Dirigenti (ANAOO-ASSOMED)
Costantino Troise, Segretario Nazionale dell’Associazione Medici Dirigenti (ANAOO-ASSOMED), Direttore della UOC di Allergologia e Direttore del Dipartimento di Medicina Generale e Malattie infettive dell’Azienda Ospedaliera Universitaria San Martino di Genova, è tra i protagonisti del dibattito sull’evoluzione del Servizio Sanitario Nazionale che ormai quotidianamente trova spazio sui media ed anima i confronti tra gli “addetti ai lavori”. SalutePiù lo ha incontrato per raccogliere il suo pensiero.
Dottor Troise, lei, come Segretario Nazionale dell’Associazione Medici Dirigenti, ha un punto di osservazione privilegiato del Servizio Sanitario Nazionale, infatti lo vede, per così dire, dall’interno. Cercando una sintesi dell’articolato dibattito di questi ultimi mesi, quali sono secondo lei le vere criticità che il SSN deve affrontare e superare?
Per il SSN gli ultimi anni sono stati molto difficili. Anni in cui parole come razionalizzazione e miglioramento, spese per indicare i provvedimenti legislativi, si sono tradotte in razionamento e tagli lineari. A partire dal 2010 ben sei provvedimenti legislativi hanno comportato tagli al finanziamento del SSN di ben 34 miliardi di euro ed è prevedibile che fin dal prossimo anno tutte le Regioni, anche quelle fino ad oggi in equilibrio di bilancio, registreranno deficit consistenti al punto da immaginare una intera sanità pubblica sottoposta a piani di rientro o commissariata. L’operazione di spending review concentrata principalmente sul taglio dei posti letto è destinata ad aprire pericolose falle nella rete ospedaliera sul fronte dell’emergenza dei PS oltre che allungare ulteriormente le liste di attesa. La legge189/2012, conversione del decreto Balduzzi, manifesta l’ambizione di “promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute” ma, in realtà, non incide nei meccanismi di governance del sistema. Ed anche l’aggiornamento dei Lea rischia di rimanere bloccato dalla mancanza di fondi. Appare quindi evidente che una delle principali criticità è legata al progressivo de finanziamento della sanità pubblica ed il tema della sua sostenibilità economica rimane al centro di tutte le questioni vitali per il SSN. A una riduzione di risorse economiche destinate alla sanità si aggiunge, poi, l’immenso spreco di risorse economiche causato dal malcostume della politica e delle amministrazioni, dalla influenza delle lobby affaristiche, dalla mancanza di programmazione e dalla cattiva organizzazione. La combinazione dei due elementi rischia di compromettere il modello di Welfare centrato sul diritto alla salute, fondamento indispensabile della democrazia e della coesione sociale.
ANAAO ASSOMED ha una sua “terapia” da proporre? Quali sono gli interventi strutturali che è necessario porre in essere?
La nostra spesa annuale pubblica in rapporto al PIL scenderà al di sotto del 7% nel biennio 2013-2014. Lontanissimi da noi gli altri Paesi dell’Europa occidentale che spendono mediamente almeno 2 punti in più. Continuare a perseguire ostinatamente una politica economicistica centrata ciecamente su tagli lineari e sulla ossessione della riduzione di costi fissi, cioè in primis sulla voce personale medico e sanitario, significa abbattere pezzi di SSN, condannarlo ad una lenta agonia. E’ indispensabile invertire la rotta. Serve una vera e propria riforma strutturale della sanità perché sono stati messi in discussione e sono venuti meno moltissimi pezzi del sistema costruito nel 1999 con il Decreto legislativo 229. Ad esempio, le modalità di finanziamento e la organizzazione del lavoro all’interno degli ospedali, la formazione del medico ed il ruolo della sanità universitaria che si comporta da variabile indipendente del sistema, fuori da ogni programmazione sanitaria e da ogni verifica e controllo. La questione esplosiva della responsabilità professionale richiede soluzioni legislative chiare e risolutive perché la crescita esponenziale del contenzioso medico-legale contro i medici inquina la relazione medico-paziente e crea un clima di sfiducia e sospetto, alimentando il ricorso alla medicina difensiva con altissimi costi per il sistema e l’incremento dei premi di assicurazione a carico dei medici e delle aziende sanitarie. Occorre ripensare anche all’assetto istituzionale, quindi ad un nuovo equilibrio tra governo centrale e Regioni, ed anche ad un nuovo rapporto tra sistema delle cure primarie e sistema specialistico. E’ inoltre indispensabile rivedere l’attuale modello aziendale che ha mostrato tutti i suoi limiti per sperimentare forme di organizzazione più rispettose dei valori professionali e più efficienti grazie alla centralizzazione delle procedure di acquisto. Insomma è indispensabile un intervento complessivo e non una politica di rattoppi.
Se la struttura eccessivamente “ospedale-centrica” del nostro SSN rappresenta uno dei vincoli da superare, voi avete proposte specifiche da rappresentare?
Si parla di struttura ospedale-centrica perché in molte realtà non esiste altra forma si assistenza se non l’ospedale, che funziona anche da ammortizzatore sociale. In molte regioni manca del tutto, o non è adeguatamente sviluppata, una rete territoriale di servizi che possa rispondere ad una domanda di prestazioni che, senza alternativa, si concentra impropriamente nell’ospedale, affollando i pronto soccorso e le corsie dei reparti di cura. Siamo indietro rispetto al resto d’Europa sulla copertura nell’arco delle 24 ore della medicina di base. L’assistenza domiciliare è insufficiente, come peraltro quella agli anziani e ai malati cronici. I dati sull’invecchiamento della popolazione obbligano ad una organizzazione del sistema indirizzata allo sviluppo di una assistenza territoriale sempre più complessa ed articolata, valida alternativa all’accesso all’ospedale ed al ricovero. E non soltanto per un esclusivo problema di costi, ma anche perché la risposta sia più appropriata.
Un tema importante è offrire assistenza anche nelle zone rurali, nei piccoli centri, al di fuori cioè dei capoluoghi di provincia. Forse qui più che in ogni altra situazione la continuità assistenziale rappresenta un must …
Non è possibile organizzare una moderna rete territoriale dei servizi senza garantire continuità assistenziale, prima e dopo l’accesso all’ospedale. Il cittadino che ha un problema di salute urgente deve avere immediato accesso al medico di base o alla guardia medica ed il cittadino che viene dimesso dall’ospedale non può essere lasciato solo nella sua convalescenza. E’ indispensabile che la continuità assistenziale, pur costituita da segmenti operativi diversi (guardia medica, DEA/PS, medicina di base, 118), sia organizzata in una struttura operativa che concentri risorse economiche, programmazione e sviluppo dell’offerta.
Da tempo immemorabile la Sanità italiana vive della dicotomia – tutta ideologica – tra pubblico e privato. Come è possibile mettere insieme questi due sistemi? L’ambulatorietà privata-accreditata, grazie alla sua capillarità territoriale, può rappresentare una opportunità per garantire la continuità assistenziale ed un SSN più vicino alla “porta di casa” del Paziente?
Sanità pubblica e privata possono e devono convivere all’interno di un comune quadro programmatorio, come peraltro avviene in molte Regioni. La presenza di una sanità privata accreditata amplia il fronte dell’offerta, lo rende più completo, in grado di meglio rispondere alla domanda di salute dei cittadini e di permettere una libera scelta di luoghi ed operatori. Non si può ammettere, però, una sanità privata accreditata interessata solo a capitalizzare gli utili e a riversare sul sistema pubblico i costi nei momenti di crisi, rispondendo con minaccia di licenziamenti, e facendo pagare le prestazioni ai cittadini, a tetti di spesa, riduzione dei volumi assistenziali e di posti letto. Quello che vale per la sanità pubblica vale per la sanità privata accreditata ed entrambe devono concorrere alla salvezza del sistema sanitario nazionale.
Diversa cosa è la privatizzazione della sanità, che è da respingere. In realtà, sono già in atto forme di privatizzazione, se è vero come è vero che la metà della spesa per farmaci è a carico dei cittadini che pagano interamente anche il 55% delle visite specialistiche e parte crescente della diagnostica. E l’assistenza alle fasce fragili è assicurata da un esercito di badanti, in numero superiore ai dipendenti del SSN, con costi a carico dei cittadini.
La contrazione dell’offerta pubblica sospinge già oggi ceti più o meno abbienti a cercare soluzioni di parziale o totale uscita dal sistema pubblico indirizzandoli verso forme di sanità privata. Uno dei modi per mettere in crisi l’universalismo è, infatti, quello di creare le condizioni per cui i ricchi, ricevendo pochi benefici, si sentiranno più protetti ed avvantaggiati da un sistema assicurativo privato. Quel che resta del pubblico, senza consistenti entrate fiscali, è destinato a peggiorare, come la evidenza empirica dimostra. La distruzione o privatizzazione del SSN avrebbe conseguenze nefaste non solo sui livelli di salute della popolazione, ma sull’intera economia, obbligando i cittadini a sottrarre ai consumi una parte maggiore delle risorse a loro disposizione per potersi garantire in caso di necessità l’accesso alle cure.