Studio Altems: troppe differenze nella produttività degli ospedali romani
E’ di questi giorni la pubblicazione dello studio “Analisi di benchmarking tra aziende sanitarie pubbliche e private selezionate nel 2010: Analisi delle performance economico-finanziarie“, realizzato dall’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari (Altems) dell’Università Cattolica. Lo studio mette a confronto 7 ospedali del Lazio e 3 ospedali di rilevanza nazionale con livelli di complessità medio-alti, ovvero: Sant’Andrea, San Filippo Neri, Policlinico Umberto I, Policlinico Tor Vergata, San Giovanni, San Camillo, Policlinico Gemelli e, fuori Lazio, Molinette di Torino, Policlinico Sant’Orsola di Bologna, Careggi di Firenze. Un campione molto significativo se pensiamo che le strutture ospedaliere laziali hanno prodotto nel 2010 oltre 330.000 ricoveri (su 1.083.582 di tutta la Regione). E’ rilevante anche il ruolo di questi ospedali nell’attrarre pazienti da fuori regione: al Policlinico Gemelli il 18% dei casi nel 2010 proveniva da fuori Lazio mentre il Policlinico Umberto I registrava un 11% di pazienti extra regione.
«Dall’analisi emerge un quadro molto variegato – spiega il professor Americo Cicchetti, direttore dell’Altems – c’è un’alta variabilità tra strutture per molti indicatori di produttività presi in considerazione. Questa alta variabilità, suggerisce che i tagli orizzontali previsti dalla spending review rischiano di penalizzare le strutture più produttive».
Scendendo nel dettaglio, la produttività degli ospedali “laziali” rispetto ai tre ospedali usati come riferimento è spesso superiore. L’attività di assistenza per ogni posto letto (numero di pazienti dimessi nell’anno per posto letto) mostra in pole position (dati 2010) Tor Vergata con 69,7 dimessi per posto letto, seguito dal Gemelli con 55 dimessi mentre il Careggi di Firenze (il primo dei tre non laziali) è a quota 45,5.
La produttività del personale, pone al primo posto il Gemelli (104,7 pazienti dimessi per medico in un anno) seguito dal Sant’Andrea (95,5), dal Sant’Orsola di Bologna (83.4), dal Careggi di Firenze (68.7) e via via dagli altri ospedali romani con valori compresi tra 62.1 e 54.1. Chiude la “classifica” l’A.O. Molinette di Torino con 52.6 pazienti per medico. Anche nel caso in cui il numero dei pazienti dimessi sia “pesato” in funzione della complessità della casistica i risultati rimangono analoghi.
Gli indicatori economico finanziari raccontano una storia particolarmente preoccupante: le risorse per la produzione (Rpi) assegnate dal sistema regionale (o acquisite da altre fonti come i ticket) sono sistematicamente insufficienti per portare le aziende ospedaliere laziali all’equilibrio economico mentre si risconta un “quasi pareggio” nei tre ospedali non laziali impiegati come benchmark.
Trarre – in modo sintetico – conclusioni sulle motivazioni di questa situazione sarebbe rischioso. Si può però rilevare, nelle aziende ospedaliere in maggior difficoltà, un livello particolarmente alto dell’indicatore “Costo del Personale/Risorse per la Produzione Interna (RPI)” (in pratica le RPI sarebbero i “ricavi” se guardassimo ai bilanci di società industriali). Infatti, mentre i tre ospedali “non laziali” ed il Gemelli si situano tra il 46% ed il 52%, il San Giovanni arriva al 91% ed il San Camillo all’89%. Un ulteriore elemento di riflessione scaturisce dalle notevoli differenze che lo studio rileva quando si parli del “costo per paziente dimesso” (pesato per la complessità dei casi clinici affrontati dall’ospedale) che variano dai 5.947 euro/paziente del Gemelli agli 8,921 del Sant’Andrea (dati 2010).
Chiunque abbia pratica di analisi di bilancio sa bene con quanta prudenza si debba procedere nel calcolare indici e metterli a confronto: le differenze nelle scelte operative e nelle conseguenti strutture dei costi delle singole aziende, possono portare fuori strada. E’ da dirsi però che in questo caso le differenze sono così significative da rendere secondari eventuali errori: secondo lo studio “A spiegare buona parte di queste differenze è la capacità dell’azienda di fare “economia” attraverso la funzione di acquisto dei beni e servizi”, una spiegazione assolutamente plausibile.
Da queste differenze nella struttura dei costi e nella connessa efficienza gestionale partono le conclusioni del professor Cicchetti relative agli esiti dei tagli lineari degli anni 2011-2012 e della spending review: “Se le diverse strutture dislocate nel Paese avessero un analogo livello di efficienza operativa la revisione della spesa sarebbe lo strumento adeguato per incrementare globalmente il livello di efficienza e, con ogni probabilità, di efficacia del sistema». Viceversa, poiché il livello di produttività delle singole strutture è anche molto diverso, tagliare in modo indifferenziato a chi è efficiente ed a chi non lo è, se da un lato riduce l’esborso finanziario complessivo della pubblica amministrazione, dall’altro riduce la produttività complessiva del sistema senza far differenza tra le diverse capacità di gestire e spendere le risorse assegnate.
“Se si vuole salvare la sanità pubblica della Regione Lazio – conclude il professor Cicchetti – bisogna investire su quello che realmente funziona bene, sviluppando nell’amministrazione regionale la funzione di “committenza”, e utilizzando idonei strumenti per decidere come erogare le risorse disponibili».