Modello Sanità

Intervista a Lionello Cosentino, Responsabile per la Sanità del Forum Welfare del PD

SalutePiù ha incontrato il Senatore Lionello Cosentino, Responsabile per la Sanità del Forum Welfare del Partito Democratico e già Assessore alla Sanità nella Regione Lazio. Con lui abbiamo parlato della riorganizzazione dei servizi di assistenza sanitaria territoriale e di come ciò si rapporti con le metodologie e le finalità del cosiddetto “accreditamento” delle strutture sanitarie private al Servizio Sanitario Nazionale.

Senatore Cosentino, in un recente incontro del Forum Sanità del Partito Democratico, dedicato ai temi dell’autorizzazione e dell’accreditamento in campo sanitario nella Regione Lazio, lei ha sottolineato come la capacità delle strutture di operare in rete potrebbe essere uno dei nuovi requisiti da valutare al fine di concedere l’accreditamento con il SSN. Quali risultati ritiene ne proverrebbero ?

Mi pare che l’esperienza abbia dimostrato, non soltanto nel Lazio, come l’idea di un sistema sanitario con un forte elemento di concorrenza tra le singole strutture pubbliche e private-accreditate finisca per produrre uno squilibrio economico e non, invece, un miglioramento della qualità. Chi aveva pensato che solo una forte competizione tra le strutture avrebbe potuto introdurre elementi di innovazione e miglioramento del sistema sanitario, in realtà, se guarda la situazione delle diverse regioni, non può non rendersi conto che il risultato finale è stata una politica rigida di tetti di spesa che hanno ingessato il settore senza consentire l’emergere  delle condizioni di qualità migliori. Io penso, dunque, che sia necessario ritornare all’idea di un sistema sanitario che lavori in squadra dove le strutture, indipendentemente dallo loro natura giuridica, pubblica o privata-accreditata, siano tutte funzionali ad un unico organismo, rappresentato dal sistema sanitario stesso, è che dunque debbano lavorare in rete, in squadra. Anche dal punto di vista dei risultati in termini di “maggior salute”, io porrei sempre meno l’accento sulla singola prestazione privilegiando invece un sistema sanitario che sappia prendere in carico la persona ammalata fissando, secondo gli standard delle linee guida, il suo percorso di cura. Da un punto di vista più generale, è necessario prendere atto di come la sanità, soprattutto in relazione alle malattie croniche ma non solo, sia in misura sempre maggiore programmabile ed anche come sia sempre più necessario che si lavori in sinergia perché è questo approccio quello che rende possibile il miglioramento delle politiche di salute territoriale e della qualità dei percorsi di cura.

Questa è la ragione per la quale ritengo che l’accreditamento, così come era stato pensato nella legge 502, cioè basato su ulteriori requisiti strutturali che differenziano le due fasi di autorizzazione ed accreditamento, sia in realtà superato. Il vero requisito che penso sia necessario chiedere alle strutture accreditate è quello di sapersi coordinare insieme alle strutture sanitarie pubbliche in un unico disegno di rete, perché ormai sono le reti che consentono di dare risposta non alla singola domanda di prestazione sanitaria ma appunto a quella organizzazione per percorsi di cura che è la chiave per il futuro del sistema sanitario.

Per costituire delle reti territoriali è certamente necessario l’impegno delle singole strutture ma anche, forse soprattutto, un’attività di indirizzo e programmazione da parte delle Regioni. Quali azioni dovrebbe mettere in campo la Regione Lazio in tal senso ?

Partiamo innanzitutto dal presupposto che i sistemi sanitari si governano non dal livello della singola ASL ma da quello della Regione e che le reti ospedaliere o territoriali debbano appunto avere un centro di programmazione regionale. Da questo punto di vista, la Regione riceve dai suoi sistemi informativi della farmaceutica, dell’assistenza specialistica ed ospedaliera tutti gli elementi necessari a valutare e programmare le attività. Questa esigenza di avere un livello regionale forte è, a mio parere, particolarmente importante nel Lazio dove da troppi anni vi è stato, anche a causa del commissariamento, un indebolimento delle funzioni tecniche e professionali dell’Assessorato alla Sanità così che oggi il compito che la Regione deve darsi è proprio quello di ricostruire questa capacità di programmazione e di gestione con la finalità ultima di valutare l’efficacia dei percorsi di cura e quindi ottimizzare l’organizzazione delle reti per l’erogazione dei servizi. Studi effettuati, ad esempio, sulle malattie cardiologiche e sul diabete ci dimostrano che ciò non solo è possibile ma, soprattutto, migliora fortemente la qualità delle cure per i cittadini.

Serviranno però anche cambiamenti normativi per consentire alle strutture di migliorare i loro servizi o offrirne di nuovi, anche perché oggi il sistema laziale è molto “ingessato”, per così dire ?

E’ vero, però qui penso che in realtà più che di una nuova legislazione, perché di leggi nazionali e regionali sulla sanità ce ne sono anche troppe, quello di cui c’è bisogno sia una quotidiana, coerente azione di governo. E necessario semplificare il quadro normativo attuale ed, attraverso la forma degli accordi tra strutture che era già prevista nelle leggi 219 e 517, consentire di costruire una programmazione partecipata.  Cioè definire come ciascuna struttura partecipi, in quale misura e che con tipo di prospettiva e di impegno ad un lavoro comune di programmazione e di risposta ai bisogni di salute delle popolazione. Più che di normative quadro, io vedrei con favore la costruzione di tavoli a livello regionale di confronto tra esperti e soggetti che operano nel settore capaci di dare corpo, almeno per le patologie più diffuse, a percorsi di cura e protocolli ed a reti che coinvolgano strutture ospedaliere, strutture ambulatoriali, medici di famiglia in un ragionamento che non sia solo legato al contenimento della spesa ma sia incentrato sui percorsi clinici. Il vero problema della sanità nelle regioni sottoposte a piano di rientro e nel Lazio in modo particolare è che da troppi anni si discute solo di bilanci e non più di risultati in termini di salute

Parlando di “tavoli”, la Giunta Zingaretti ha avviato la progettazione di una nuova modalità di gestione dei servizi sanitari territoriali imperniati sul concetto di Casa della Salute, che immagino intesa più come fatto funzionale che come luogo fisico. Lei che è stato anche Assessore alla Sanità della Regione Lazio, quali considera gli elementi qualificanti necessari per realizzare un sistema di servizi territoriali efficace ?

Non c’è dubbio che in generale le esperienze associative dei medici di famiglia abbiano prodotto risultati positivi, ovvero abbiano mostrato la capacità di dare una risposta organizzata alla domanda di assistenza proveniente dai pazienti, su un arco di tempo più lungo. L’idea della Casa della Salute nasce proprio da queste esperienze di lavoro associato dove il problema vero non è però quello di fornire al cittadino un’assistenza H24, perché anche garantire il solo arco della giornata potrebbe già essere sufficiente. La vera carta in più che sarebbe utile mettere nella mani del medico di medicina generale è quella della prenotazione diretta delle visite e della diagnostica specialistica per i proprio assistiti almeno per quei percorsi di cura più facilmente standardizzabili. Ciò che non funziona oggi nel sistema è che il cittadino è lasciato solo di fronte al telefono del CUP che squilla: penso che per quelle patologie per le quali è più semplice individuare i percorsi clinici e quindi programmare visite ed esami diagnostici, debbano essere definiti da parte delle strutture pacchetti di prestazioni a cui possa accedere direttamente il medico di famiglia nella sua veste, diciamo così, di case manager del suo assistito. Questo darebbe un senso maggiore alle cose che abbiamo detto fin qui.

Per converso, non sono in realtà convinto fino in fondo che, per quel che riguarda la medicina territoriale, tutto si risolva con le Case della Salute. Qui aggiungo un elemento, ovvero che le cose cambieranno veramente solo se, invece di partire dall’offerta oggi disponibile di prestazioni e di servizi, organizzeremo la nostra sanità puntando a colmare i “buchi” ed i ritardi nella risposta alle domande di salute della popolazione, ovvero disegneremo la rete dei servizi sanitari partendo dalle esigenze da soddisfare e non dai servizi di cui già oggi disponiamo.

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Fabrizio Sciarretta

Laureato in Economia alla LUISS e Master in Business Administration della Carnegie Mellon University di Pittsburgh, Fabrizio Sciarretta ha dedicato i primi anni della sua attività professionale al giornalismo economico. Rientrato dagli Stati Uniti, ha operato per circa un ventennio nella consulenza di organizzazione e direzione aziendale, ricoprendo incarichi di top management in Italia per due multinazionali americane del settore. Ha poi scelto la strada dell’impresa e da alcuni anni è impegnato come imprenditore nel settore della sanità. E’ consigliere d’amministrazione di SanaRes, la prima rete d’imprese italiana nel comparto sanitario. Lion da sempre, è stato presidente fondatore del Lions Club Roma Quirinale. Nel 2008 ha abbandonato la Capitale in favore della Sabina, e non se ne è pentito affatto.