Modello Sanità – Intervista doppia a Fabrizio Sciarretta e Mauro Alessandri Sindaco di Monterotondo
Se c’è una regione dove la sanità è una faccenda ingarbugliata, quella è il Lazio. I problemi sono numerosi: una grande metropoli da gestire, pazienti di altre regioni in trasferta a Roma, la presenza di (costosi) policlinici universitari, ampie aree con scarsa densità abitativa.
Il punto, però, è diverso: negli ultimi venti anni questi problemi sono stati analizzati più volte individuando soluzioni convincenti a cui, però, non è mai stata data adeguata attuazione.
Non parliamo di sprechi ed inefficienze, che pure esistono. Parliamo di “impostazioni strutturali” molto più difficili da modificare:la sanitàpubblica è fortemente “ospedale-centrica”, il “territorio” è sguarnito, il coordinamento “pubblico-privato” uno sconosciuto.
Un ospedale dovrebbe occuparsi di persone che necessitano di cure in regime di ricovero. Invece, i nostri ospedali fanno da ambulatori, da guardia medica e da residenza estiva per gli anziani. Questo è il significato del termine criptico “sanità ospedale-centrica”.
Esistono alternative ? Forse si. Il Paziente dovrebbe recarsi dal suo medico di famiglia ed in un ambulatorio per gli accertamenti specialistici. Se non necessita di ricovero, dovrebbe curarsi a casa sua, assistito a domicilio. Tra l’altro, costa meno curare un paziente così che in ospedale.
Invece, leggiamo di ospedali al collasso e di Sindaci che lottano per conservare il loro pur piccolo ospedale, perché sanno di non avere altra risorsa.
Mi vengono in mente (almeno) tre motivi per questo stato di cose, e che nessuno se ne abbia a male:
- perché nel Lazio la “programmazione” è, in sanità, più teoria che pratica. Noi dovremmo individuare risposte specifiche alle diverse articolazioni della “domanda di salute” del cittadino, posizionando poi sul territorio le risorse necessarie. Stando attenti ad individuare per ciascuna esigenza la soluzione con il miglior rapporto costo/benefici:i medici di famiglia per l’assistenza quotidiana, gli ambulatori per la specialistica, le cure domiciliari per quanto trattabile a casa, le residenze assistite per gli anziani e, solo per le “acuzie”, i benedetti ospedali !
- perché non siamo capaci (o non vogliamo) usare al meglio tutte le forze in campo. La Regione Lazio ha una visione assolutamente “pubblico-centrica”, ovvero considera di Serie A le strutture pubbliche ed un male necessario tutte le altre. Così i 610 ambulatori “privati accreditati” (cioè laboratori, radiologie, ecc. privati ma a cui è possibile accedere con “l’impegnativa”), sparsi capillarmente sul territorio, non vengono coordinati con le strutture pubbliche per le quali sarebbero invece preziosi punti di presenza periferici in grado – coni medici di famiglia – di assistere i cittadini in loco senza renderli pellegrini verso l’ospedale. Ovviamente, abbiamo poi diverse decine di case di cura e centinaia di “RSA” (case di riposo) distribuite per le 5 provincie, ed anche lì potremmo pensare a soluzioni atte a presidiare il territorio. Tra l’altro, una prestazione “prodotta” da una struttura “privata accreditata” costa spesso meno al Servizio Sanitario Regionale che la stessa prodotta in una struttura pubblica.
- perché non guardiamo in faccia la realtà.Il Piano dei Fabbisogni Sanitari regionale (del 2010) sancisce che la “domanda di salute” è totalmente soddisfatta attraverso il sistema delle strutture pubbliche e private accreditate esistenti. Lascio a ciascun lettore, nella sua autonomia di giudizio, stabilire se si ritiene totalmente soddisfatto.
Io guardo i fatti e, già che ci sono, do anche un paio di consigli non richiesti:
- i Sindaci che si battono per i loro ospedali, convinti di tutelare al meglio il diritto alla salute dei loro cittadini fanno, secondo me, una lotta giusta nei principi ma non in grado di risolvere veramente i problemi. Al loro posto, ingiungerei alla Regione di tenere aperto il mio ospedale fintantoché non sia stata in grado, insieme con me, di programmare una sanità per il mio territorio articolata ed efficace ed attivare le soluzioni individuate. A quel punto, spostarsi per un’operazione chirurgica programmata, non sarà la fine del mondo se viceversa saranno presenti a portata di mano soluzioni tempestive e di qualità alla esigenze “non ospedaliere”.
- è ora di piantarla con la pantomina del “pubblico di Serie A” e del “privato di Serie B”. Dal 2008 la Regione Lazio – sulla base del fatto che, secondoil Pianodei Fabbisogni, il “fabbisogno è soddisfatto”, nega qualsiasi autorizzazione per l’apertura di nuove strutture anche totalmente private impedendo così di fatto che si possa creare una qualsivoglia rete territoriale di prossimità per i cittadini. Altre possibilità sono per legge precluse ai privati: si pensi all’apertura di “punti prelievo” (dotati magari anche di una attività specialistica “di base”) che potrebbero venir incontro alle esigenze di piccoli centri dove oggi la sola presenza è quella del medico di famiglia.
Qui ci vogliono programmazione e coordinamento, non preconcetti ideologici.
Non voglio ripercorrere il cammino che ci ha condotti dove siamo, né dare la caccia ai colpevoli. Credo solo che sia ora di finirla. Adesso che i soldi per pagare soluzioni sbagliate non ci sono più, restano solo due possibilità: i tagli trasversali alla spesa dei quali, alla fine, fanno sempre le spese i più deboli o iniziare a fare, da domattina, le scelte giuste. Vedete voi cosa preferire.
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