Bambini

Cavalieri d’avventura: le difficoltà dell’autismo – Intervista con Federica Bochicchio

Per una volta protagonisti spensierati e all’aria aperta,  erano tanti i genitori e i loro figli alla partenza del viaggio a cavallo tra le verdi campagne e i fitti boschi del centro Italia per richiamare l’attenzione sull’autismo, termine coniato fin dagli inizi del ‘900 dallo psichiatra  Eugen Bleuler per indicare un “disturbo generalizzato dello sviluppo”, i cui contorni sono a tutt’oggi ancora sfumati.

Con poche risorse economiche, ma tanta generosità e partecipazione, l’iniziativa –  promossa e organizzata dalla Onlus “L’emozione non ha voce”, che raccoglie famiglie di ragazzi autistici, in collaborazione con l’ANPeT (Associazione Nazionale Pet e Terapia) e sotto il patrocinio della Fise – ha  come illustre padrino il maestro Mogol, che ospiterà presso la Tenuta dei ciclamini – sede dell’Università della musica di Avigliano Umbro – l’ultima tappa di questo unico evento.

Un modo diverso di proporre all’attenzione nazionale e anche ai non addetti ai lavori, con quel tanto di gioia e di ottimo necessari per affrontare montagne così perigliose e sconosciute, il problema dei disturbi dell’autismo.

Essere genitori in questi casi è una esperienza difficile, spesso vissuta nel completo isolamento, che richiede amore, coraggio e competenze per evitare atteggiamenti iper-protettivi, o improvvise assenze o comportamenti di lassismo.  Tante sfide da affrontare, anche in carenza di istituzioni efficienti e professionisti preparati, per scoprire un benessere possibile, qui e ora, per loro e i propri figli.

Non si tratta di vendere illusioni o annunciare terapie salvifiche, né, tanto meno, di alimentare il muro del pianto e della commiserazione. La metafora del viaggio mette bene in evidenza le difficoltà di una avventura come questa che necessita di collaborazione e partecipazione da parte di tutti  per condividere esperienze, promuovere interventi e prevenire imprevisti.  Uno stimolo per ognuno a riflettere sul concetto di  diversità e integrazione, troppo spesso fraintesi e abusati.

Per saperne un po’ di più ne parliamo con Federica Bochicchio, la psicoterapeuta dell’ANPeT che segue da anni molti dei ragazzi protagonisti dell’iniziativa.

 I ragazzi che oggi abbiamo incontrato  manifestano diversi gradi di gravità e sintomatologia dell’essere autistici.  Qual è allora il tratto comune che li unisce, qual è la spia che dovrebbe orientare un genitore a rivolgersi a uno specialista?

L’autismo si caratterizza per la presenza di alterazioni nella relazione con il mondo esterno e con se stessi. Non esiste una causa unica e certa che determina l’autismo. Si manifesta con difficoltà di interazione sociale, nella comunicazione verbale e non, con comportamenti e gesti ripetitivi e stereotipati: difficoltà che impediscono di manifestare i sentimenti avvertiti.  Più del 40% ha capacità intellettuali sopra la media; molti  non sono in grado di vivere autonomamente; alcuni imparano a comunicare in modi diversi da quello verbale; altri sfruttano le capacità di interessarsi s in modo esclusivo a una attività lavorativa. Il problema è allora capire, anche grazie a un percorso psicoterapico nel profondo,  quali sono state le motivazioni e i fattori che hanno portato a isolarsi e orientare il soggetto allo sviluppo delle relazioni con le persone, gli animali, la natura, gli oggetti.

C’è un dato in costante aumento rispetto alle diagnosi di autismo in Italia: 1 bambino su 160 dice l’Istat, un fenomeno che coinvolge circa 400.000 famiglie. A cosa è dovuto a suo avviso questo fenomeno in crescita?

Si tratta di un dato in linea con gli altri Paesi industrializzati, dove si avverte sempre di più la necessità di classificare, differenziare e protocollare per comprendere meglio le diversità. Una migliore diagnosi e consapevolezza spiega solo in parte questo incremento e il proliferare di documentazione e iniziative. Una informazione utile di cui però spesso se ne fa un uso distorto, che poco ha a che fare con la tutela della salute e con il benessere degli interessati. Se è importante diagnosticare con chiarezza e precocemente tale patologia bisogna usare cautela nell’etichettare superficialmente situazioni che non hanno nulla di patologico, ma che rischiano con comportamenti sbagliati di diventarlo. Non sono una sociologa, ma potrei dire, come afferma qualcuno che si avverte un “autismo diffuso, tecnologico” rispetto al quale occorre prestare attenzione. Siamo tutti un po’ a rischio perché sempre più soli tra infinite possibilità e strumenti di comunicazione e opportunità di relazione.

In che misura la cultura e l’ambiente esterno influenzano il determinarsi di tale patologia?

Purtroppo non si hanno informazioni di dettaglio sulla distribuzione territoriale,  tra nord e sud o tra centri  urbani, piccole realtà e aree rurali.  Voglio però fare un esempio che invita a riflettere. Sono stata questa estate a Lampedusa: su 650 bambini che frequentano la scuola primaria solo 2 (invece dei 6 della media nazionale) hanno l’insegnate di sostegno. Allora mi domando: c’è forse un collegamento tra il modo di vivere, di crescere, di educare e  l’evidenziarsi delle differenze?  La nostra cultura predominante ha necessità di pensare e attuare  politiche di integrazione per reagire alle differenze,  ma ci sono contesti più aperti naturalmente (com’è il caso di Lampedusa, cuore del Mediterraneo,  luogo di incontro tra mondi diversi) dove la diversità è un concetto dai contorni più larghi e flessibili in cui l’integrazione è un processo naturale non una politica di sostegno.

L’iniziativa di questi giorni mette in evidenza il ruolo dei genitori insieme ai loro figli autistici. Che cosa possono fare in concreto le famiglie  e le istituzioni?

Insieme alle altre figure di riferimento che popolano il quotidiano di questi ragazzi, il nucleo familiare costituisce il cuore da cui ripartire. Spesso disorientate e isolate si trovano a dover rivedere il loro progetto di vita. Un’ esperienza che coinvolge direttamente padri, madri, fratelli, nonni per affrontare difficoltà quotidiane presenti nel corso delle tappe evolutive. Una prova pesantissima, per la qual è faticoso trovare nuova autorevolezza e disponibilità a guardarsi con spirito autocritico. Di fronte all’inadeguatezza delle istituzioni, occorre sostenere iniziative di auto-aiuto che le stesse famiglie mettono in atto. La famiglia così come le istituzioni sono attraversate da una crisi profonda, più di quanto appaia. Un problema generalizzato rispetto al quale lo stesso Paolo Crepet, che viaggia da anni lungo l’Italia, parla di “educazione mancante”, ovvero un richiamo ad una genitorialità fatta di maggiore attenzione, impegno, amore, consapevolezza: una sfida  difficile ma affascinante che  riguarda tutti.

Quali sono gli interventi più efficaci e le terapie più idonee e, soprattutto è possibile guarire dall’autismo?

In non userei il termine guarire, non ci troviamo di fronte ad una malattia, ma ad una sindrome in cui si rilevano un concorso di cause che la determinano, e anche per questo più difficile da affrontare. Possiamo pertanto dire che si può guarire dalle patologie attraverso cui si manifesta. Un percorso complesso che vuole la partecipazione di tutti i soggetti a vario titolo coinvolti (figli, genitori, operatori, psicoterapeuti, insegnanti, medici). Pertanto, la varietà delle sintomatologie richiede approcci diversificati che si differenziano anche in base agli orientamenti teorici di riferimento. L’ANPeT, (Presidente è il signor Enzo Cardogna) in particolare, si ispira ai principi metodologici e teorici dell’IdO, un istituto accreditato dal Ministero della Salute che si  occupa da oltre 30 anni di diagnosi e terapie per l’età evolutiva. Noi ci interessiamo prevalentemente di terapie assistite dagli animali, come quella della ippoterapia (seguita in particola dal Tecnico della Riabilitazione, dott.ssa Laura Traina e da quest’anno, per il volteggio da Cristiana D’Anna ), ma non sono le sole ad essere efficaci. Abbiamo in questi anni messo in atto molti e diversi progetti che, grazie alla collaborazione e partecipazione diretta di alcuni genitori, stiamo portando avanti. Mi riferisco al progetto Rugby, svolto presso il Centro Giulio Onesti del Coni grazie alla generosa collaborazione della US primavera rugby di Roma; al progetto Tuffi, svolto presso la piscina del Foro Italico grazie all’impegno dei fratelli Marconi; alla “terapia occupazionale cantiere”, svolta direttamente da alcuni genitori presso il nostro centro di Tor di Quinto. Potrei ancora ricordare la nuototerapia, o la sperimentazione della delfinoterapia, così come le sessioni di aiuto nello svolgere i compiti assegnati a scuola, o ancora il centro estivo, o altre iniziative anche ludico-ricreative.

Associazioni come la vostra cosa fanno per favorire il collegamento tra le famiglie e aiutarle a affrontare le complesse problematiche che si presentano?

Noi ci occupiamo da anni di terapie con i bambini e i ragazzi, ma non possiamo prescindere da un coinvolgimento diretto e responsabile delle famiglie. E’ per questo che a integrazione delle attività terapeutiche stiamo attivando un servizio di counseling ai genitori per aiutare a contenere, sostenere e elaborare il loro vissuto. Genitori e madri che vanno supportati in questa prova che la vita pone loro, salvo non considerala come una disgrazia irreparabile. Per dare concretezza a questo progetto, è in programma un ciclo di incontri a sostegno della genitorialità. Un’iniziativa che si colloca nell’ambito degli interventi di prevenzione rispetto  alle complesse problematiche materiali e logistiche, ma anche di tipo psicologico ed emotivo. Grazie al contributo di professionisti (psicoterapeuti, avvocati, medici, insegnanti) e alla partecipazione dei familiari sarà uno spazio dove sperimentare lo scambio di esperienze e la comunione di informazioni, a partire dal tema della “tutela dei diritti e il rapporto con le istituzioni”, oggetto specifico del primo appuntamento. Lo scopo del nostro lavoro è fare “massa”, costruire una “rete”, mettere a fattor comune il patrimonio di vissuti e di informazioni per far emergere le competenze genitoriali idonee a prevenire comportamenti a rischio ed individuare strategie efficaci volte a favorire il benessere psico-fisico dei figli e di tutto il nucleo familiare.

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mbelsito@laboratorionomentano.it'

Maria Teresa Belsito

Maria Teresa Belsito, laureata in lettere con specializzazione in biblioteconomia e master in Comunicazione pubblica, counselor socio-educativo, è funzionario presso il CNEL occupandosi di Comunicazione istituzionale. E’ giornalista pubblicista iscritta l'Albo di Roma.