ANASTE: istituire un fondo nazionale per la non autosuficienza
L’invecchiamento della popolazione pone ormai gravi problemi tanto alla spesa socio sanitaria pubblica quanto alla capacità economica delle famiglie. Alberto De Santis, presidente dell’ Associazione Nazionale Strutture Terza Età – ANASTE, formula la proposta di un Fondo Nazionale per la Non Autosufficienza, finalizzato a garantire la totale copertura dei servizi per la non autosufficienza, per affrontare in modo risolutivo il tema dell’assistenza agli anziani
L’invecchiamento della popolazione pone gravi problemi anche dal punto di vista della spesa socio-sanitaria, oltre che previdenziale. Già oggi in Italia le persone con sessantacinque anni e più rappresentano oltre il 20% della popolazione con una tendenza in costante e continua crescita nei prossimi anni. Questo fenomeno, progressivo e inesorabile nel tempo, esige provvedimenti adeguati alle maggiori necessità degli anziani. La situazione è preoccupante, perché s’inserisce in un momento particolarmente critico per moltissime famiglie che sono state gravemente investite dalla crisi in atto. Queste famiglie sono colpite duramente nel reddito perché sostengono oneri economici rilevanti (1.000 – 1.500 euro al mese per un’assistenza privata a casa o 3.000 – 3.500 euro al mese per un ricovero in RSA, se devono sostenere l’intero costo).
Si deve prendere atto che i cittadini iniziano a considerare la copertura integrativa, privata ”out of pocket”, o realizzata tramite un fondo o una mutua, come una necessità per garantirsi un adeguato livello di assistenza e di autonomia nelle scelte, in modo da sottrarsi ai vincoli e alle lentezze del Sistema Sanitario Nazionale. Quindi “L’Anno dell´invecchiamento attivo e della solidarietà tra le generazioni”, deve essere una occasione per riflettere su come oggi gli europei vivono e restano in salute più a lungo, nonché per coglierne le opportunità che ne derivano. L’invecchiamento attivo può dare alle generazioni del “baby-boom” e agli anziani di domani la possibilità di: restare occupati e condividere la loro esperienza lavorativa; continuare a svolgere un ruolo attivo nella società; vivere nel modo più sano e gratificante possibile. Allungare la vita attiva delle persone anziane è anche una forma di prevenzione per far sì che le eventuali istituzionalizzazioni avvengano più tardi e con meno patologie. Questo consentirebbe agli Stati di risparmiare sia in termini di durata del ricovero, procrastinandone l’ingresso, sia in termini di carico di lavoro nelle strutture avendo gli ospiti meno patologie. L’ANASTE in un recente convegno ha proposto, attraverso un grande patto di solidarietà, la riforma del Welfare e la realizzazione di un fondo unico per la non autosufficienza.
Il fondo nazionale per la non autosufficienza è una forma di finanziamento finalizzato, autonomo, a carattere nazionale, gestito dall’INPS con gestione separata, che dovrebbe permettere il riparto annuale delle risorse alle Regioni, sulla base dei dati relativi alla popolazione ultrasessantacinquenne che vi risiede e di altri indicatori demografici e socio economici. Tale fondo, senza sostituirsi al fondo sanitario, dovrebbe provvedere alla totale copertura dei servizi per la non autosufficienza.
Credo che se non si prenderanno decisioni immediate l’assistenza agli anziani dovrà essere erogata esclusivamente dalle famiglie che anche oggi sono le prime erogatrici di assistenza.
Infatti i finanziamenti per l’assistenza sociale sono quasi azzerati. Regioni, Province e Comuni dovranno risparmiare 6 miliardi di euro. Nel 2013 e nel 2014 diventeranno 6 miliardi e 400 milioni, che incideranno principalmente sul trasporto pubblico e l’assistenza sociale. E per effetto del Disegno di legge delega, in materia fiscale ed assistenziale n° 4566, già in discussione alla Commissione Finanze della Camera dei Deputati, il Governo sarà delegato ad emanare provvedimenti tali da determinare tagli, ai fini dell’indebitamento netto, non inferiori a 4 miliardi di euro per l’anno 2012 e per 20 miliardi di euro a decorrere dal 2013. E intanto il 6% delle famiglie italiane si impoverisce, di cui il 4,1% sostiene le così dette spese “catastrofiche”, cioè quelle che superano il 40% della “Capacity to pay”. Specialistica, disabilità, farmaci, non autosufficienza sono le voci di maggiori spese. Aumenta la spesa sanitaria ma diminuiscono i finanziamenti. Quindi quasi azzerati i finanziamenti per l’assistenza sociale nonostante che, anche per questo capitolo di spesa, l’aumento sia esponenziale. Le spese per i due comparti socio assistenziale e sanitario sono tutt’altro che slegate perché i bisogni aumentano e una drastica riduzione, senza una strategia precisa della spesa sociale, può riflettersi sul comparto sanitario determinando una maggiore richiesta di servizi. Sarebbe dunque un errore strategico guardare alla spesa sanitaria senza contemporaneamente considerare quella sociale.
In Italia la spesa sanitaria, nel periodo che va dal 1980 al2009, haavuto un incremento che va dall’1,5% del 1985 al 23,5% del 2007, al 29% del 2010, e si colloca fra i Paesi che hanno registrato una significativa crescita. Con un’alta percentuale dell’”out of pocket”, circa il 20%.
La maggiore partecipazione delle famiglie alla spesa sanitaria privata totale si registra in Friuli, (27,2%), seguita dall’Emilia Romagna, (26,2) e dal Piemonte, (26,0). Ai livelli più bassi si collocano tutte le regioni del Mezzogiorno, tra le quali spiccano Basilicata, Sicilia e Sardegna. Calcolata per famiglia, la spesa sanitaria privata è pari a 955 euro per il mezzogiorno e 1265 euro per il centro nord, confermando l’aspetto legato ai differenziali di reddito tra le diverse ripartizioni geografiche.
I bisogni assistenziali delle famiglie italiane, sono consistenti e in crescita, basta considerare il trend di invecchiamento della popolazione. Il welfare in Italia ha una tradizione molto ampia e articolata che deriva dalla rete di beneficenza cattolica, dal filone della mutualità operaia, dal sistema centralista del fascismo e prima repubblica, dal successivo decentramento. Nel 6,9% delle famiglie c’è un anziano non autosufficiente o un adulto con disabilità assistito a casa. Il contributo pubblico al sostegno è in costante diminuzione e registra anche forti variabilità territoriali: per l’assistenza agli anziani la spesa media procapite dei Comuni è di 117 euro, ma con quote che passano dai 165 nel Nord-Est a 59 euro nel Sud.
E così è la sussidiarietà a far fronte a queste situazioni. Tutto questo pesa sulle tasche delle famiglie. Tanto che si può affermare: la sanità è salvata dalla famiglia sia in termini di prestazione assistenziale che di costi, dal momento che la spesa annua privata, secondo i dati del Censis, è di circa mille euro all’anno.
Il welfare Italia, e non solo, ma anche quello europeo, necessitano di una profonda riforma. Alla vigilia del 2013, la crisi morde i bilanci dei Paesi UE, ma anche e soprattutto il bilancio delle famiglie che sempre più fanno fronte di tasca propria a spese di assistenza per anziani e disabili; l´Europa intera quindi, deve trovare soluzioni al problema.
La proposta lanciata dall´ANASTE, prevede azioni di assistenza e sicurezza sociale, insieme a iniziative tese al rilancio degli investimenti e all´aumento dell´occupazione, attraverso un percorso virtuoso che veda coinvolti tutti gli attori del sistema. Crediamo, infatti, che la creazione di un fondo unico per la non autosufficienza, costituito da tutte le parti sociali con un grande patto di solidarietà e con la partecipazione dei fondi sanitari integrativi, sia ormai un´esigenza non più rinviabile.
In Italia la situazione delle strutture residenziali per anziani è molto grave e si aggrava di giorno in giorno.
I contributi pubblici, sia sanitari (da parte delle ASL) che sociali (da parte dei Comuni), si stanno riducendo enormemente e vengono tollerate risposte assistenziali che non rispettano i parametri di legge: ci riferiamo alle case famiglia che dovrebbero ospitare anziani autosufficienti e invece accolgono anziani non autosufficienti.
E’ necessario operare una gestione efficiente ed efficace, per affrontare anche lo squilibrio Nord/Sud non solo in termini di risorse, ma anche di efficienza.
Non è più rinviabile, ormai, la realizzazione di quei posti letto che mancano in Italia, circa 250.000, per essere in sintonia con il resto dell’Europa, con investimenti da parte di privati e quindi a costo zero per lo Stato ma con la partecipazione alla gestione dei servizi di tutte le parti sociali. I su citati posti letto consentirebbero oltretutto la conseguente creazione di 350.000 posti di lavoro per giovani, idoneamente formati, che si occuperebbero dei loro anziani. Questo, oltretutto, consentirebbe di evitare ricoveri impropri a causa delle lunghe liste di attesa, che al SSN costano circa 600/700 euro pro die a persona occupando negli ospedali i posti letto di medicina.
Questa riforma culturale eviterebbe il sorgere indiscriminato di case famiglia, gruppi appartamento, prive delle professionalità necessarie, che tanti danni arrecano al settore della socio-assistenza e della socio-sanità in quanto in maggior parte strutture abusive.
Si eviterebbe così che i media, non conoscendo bene il settore, confondano queste strutture, a volte definite “lager” con le Case di Riposo e le RSA autorizzate, che ricevono controlli a settimane alterne da parte della ASL, da parte dei NAS e dell’Ispettorato del Lavoro. Strutture nelle quali lavora un personale formato che fa della propria professione una “missione”, sacrificandosi e contemporaneamente, attraverso l’empatia, migliora la qualità della vita degli ospiti.
La realizzazione del fondo unico per la non autosufficienza garantirebbe la possibilità di sostenere il costo delle rette di assistenza, rendendo completo il percorso.
Ormai anche nelle regioni più avanzate, e con i conti a posto, tipo la Toscana o l’Emilia Romagna, le strutture residenziali hanno molti posti letto vuoti (circa il 20%) e alcune strutture, a causa dei continui tagli e riduzioni di rette, potrebbero essere costrette alla chiusura.
E’ necessaria la regolarizzazione dei pagamenti della PA, che avvengono oggi con ritardi assolutamente insostenibili (fino a tre anni) comportando oneri insostenibili per molte aziende, specie se associati all’aggressivo recupero crediti da parte di Equitalia.
A questo si aggiunga la continua richiesta di adeguamenti strutturali e ampliamenti di pianta organica senza un’adeguata integrazione di ospiti nelle strutture. Spesso gli anziani vengono avviati in strutture pubbliche, a volte distanti dalle loro residenze, a costi notevolmente superiori che non offrono la stessa qualità di vita delle residenze private che erogano un servizio pubblico su concessione del SSN.
L’ANASTE ha avanzato una proposta nel corso del Convegno nazionale: Un Grande Patto di Solidarietà per un Nuovo Welfare fra tutti gli Attori del Sistema. La riforma come percorso di lavoro comune, rivolto a tutti gli attori del sistema del welfare, affinché ognuno porti, secondo le sue possibilità e competenze, il proprio indispensabile contributo.
Un percorso di sviluppo che considera le esigenze di assistenza degli anziani e dei non autosufficienti, ma anche le opportunità di occupazione per i giovani, sia nella realizzazione delle strutture che nella gestione socio-sanitaria.
La proposta offre quindi una opportunità ma richiede un impegno: dalle imprese con investimenti, risorse, conoscenze e l’adesione obbligatoria ai Fondi Sanitari Integrativi a beneficio dei dipendenti; dai lavoratori, rinunciando ad una giornata di ferie, da versare al fondo unico per la non autosufficienza; dalla rimodulazione della indennità di accompagnamento con un tetto al reddito fino a 1.800 euro, al di sopra del quale nessuna ha diritto all’integrazione, ma prevedere tre fasce di erogazione e cioè 1.200 euro per chi percepisce la pensione sociale e man mano che il reddito aumenta 600 e 300 euro; dai fondi sanitari integrativi con la partecipazione, attraverso la copertura delle LTC, la razionalizzazione degli interventi, con priorità nei settori non coperti dal SSN e la riduzione dei costi gestionali anche con accorpamenti, al Fondo Unico perla non Autosufficienza; dalle banche la disponibilità a finanziare le nuove iniziative; dall’integrazione socio-sanitaria con un versamento al fondo unico da parte del SSN; dalla rivisitazione del ruolo delle RSA che devono essere più diffuse sul territorio, con un ventaglio più ampio di servizi e un centro di controllo con telemedicina.
Una stagione di confronto e collaborazione, quindi, superando contrapposizioni ideologiche legate ad una alterata interpretazione del ruolo dell’ente pubblico, per sviluppare il ruolo partecipativo di imprese e cittadini.
E’ nei momenti di crisi che bisogna fare proposte innovative, proposte condivise che consentano, con un minimo sforzo, di affrontare un problema che ormai è inderogabile. Fondamentale è una necessaria riforma culturale.
Il settore pubblico deve offrire chiarezza e regole certe, per non essere paralizzati dall’incertezza di norme, da latitanza di strutture tecniche, da ambiguità di pareri, da deroghe ed interpretazioni “ad personam”. Non sono infine più accettabili sprechi di risorse in momenti di sacrifici: è necessario ribadire che vi devono essere, tra pubblico e privato, PARI DIRITTI e PARI DOVERI, e soprattutto PARI DIGNITA’.
Una sfida complessa, quindi, con molti aspetti tecnici da approfondire, ma certamente un percorso stimolante per un traguardo ambizioso. Le imprese di ANASTE (Associazione Nazionale Strutture Perla Terza Età) sono pronte ad accettare la sfida.