Assemblea FIASO: segnali contrastanti per la sanità italiana
La FIASO – la Federazione di Asl e ospedali – in occasione della sua Assemblea nazionale ha fatto il punto su “Lo stato di salute della sanità italiana” mettendo in luce dinamiche di evidente interesse.
Il quadro generale è quello noto: da un lato una spesa sanitaria privata in costante crescita, con solo il 15% di copertura pubblica dei servizi ai 2,5 milioni di non autosufficienti e il 45% delle visite specialistiche oramai a pagamento. Dall’altro un servizio sanitario pubblico, che, nonostante tutto, tiene. Come dimostrano il 68,5% dei casi di miglioramento delle performance sanitarie valutate su 92 indicatori. Poi problemi specifici quali la mancanza di innovazione e prezzi per farmaci salvavita con solo il 16% dei costi giustificati dall’effettivo miglioramento dei pazienti.
Offerta sanitaria integrata chiave per il successo
La spesa sanitaria privata ha raggiunto quota 33 miliardi, quasi un quarto della spesa sanitaria complessiva ed è quasi tutta “out of pocket”, ossia pagata dai cittadini senza l’intermediazione di fondi integrativi o assicurazioni. Il tasso di copertura dei servizi pubblici per l’odontoiatria è del 5%. Il 40% delle prestazioni riabilitative è “out of pocket”, così come il 70% delle visite ginecologiche.
“Insomma il cittadino medio, sano, quando ha bisogno è abituato a pagare e a ricercarsi le prestazioni in un sistema ancora molto frammentato, che favorisce chi ha più competenze – spiega il Professor Francesco Longo, del Cergas Bocconi – per questo anche in sanità, come per Google, Amazon o Tripadvisor, è iniziata la competizione tra chi riuscirà a proporre una piattaforma capace di ricomporre l’offerta di servizi a misura di famiglie e pazienti. Ci stanno già provando farmacie, assicurazioni, cooperative di medici, siti web e privati in genere”.
“E in questa competizione il SSN resta il principale attore per dimensioni, strutture e risorse. Ma per la sua debole cultura del servizio – conclude Longo – rischia di far retrocedere al rango di semplice produttore di servizi, lasciando agli altri il ‘packaging’ dell’ultimo miglio”.
Forbice delle risorse con i Paesi Ue in crescita
Il Professor Federico Spandonaro, Presidente del Crea-sanità dell’Università Tor Vergata di Roma, guarda alle grandezze macroeconomiche. Se nel 2003 la quota di finanziamento pro-capite della spesa sanitaria differiva di circa 500 euro tra Italia e i 14 principali Paesi UE, quella forbice è destinata ad allargarsi fino a circa 1.500 euro (3.700 circa contro i 2.200 dell’Italia). Un gap che resta alto anche se rapportato al Pil pro-capite, con un meno 25% di risorse pubbliche rispetto all’Ue a 14, non compensato dalla spesa privata, che se pur in crescita nel nostro Paese resta più bassa del 18% circa rispetto ai Paesi di riferimento europei. “Questo – afferma Spandonaro – sta facendo perdere al nostro Paese il vantaggio che aveva in termini di salute rispetto al resto d’Europa, con un’aspettativa di vita che resta alta ma con tanti anni marcati da problemi di salute”. Che oggi toccano quasi il 65% dei nostri anziani.
“E’ una illusione che il nostro SSN performi benissimo” afferma Spandonaro. Che a riprova mostra i segnali di “razionamento” dell’innovazione farmacologica nel nostro Paese, marcati da un minor consumo di nuove molecole rispetto ai Paesi Big dell’Ue, che sono del 90% nel 2014, con un 32% di molecole approvate dall’Agenzia europea del farmaco, l’EMA, che nel nostro mercato non sono proprio entrate”.
Prezzo dei farmaci: quale controllo?
Ma anche nel caso dei farmaci ogni medaglia ha il suo rovescio: “Il cuore della questione è che nuovo non è sinonimo di innovativo” afferma Giuseppe Traversa, del Comitato scientifico dell’Istituto superiore di Sanità. Ad esempio, il prezzo dei costosissimi nuovi farmaci oncologici è quasi del tutto indipendente da guadagno apportato in termini di “sopravvivenza libera dalla progressione della malattia”. “Mettendo infatti in correlazione il prezzo con il miglioramento dell’esito – spiega Traversa – si scopre che solo una minima porzione di questo, pari al 13-16% è giustificata dall’entità del miglioramento in termini di salute”.
Una possibile soluzione è agganciare il prezzo al QALY, ovvero “Quality Adjusted Life Years”, unità di misura degli incrementi di aspettativa di vita connessi agli interventi sanitari. Nel qual caso bisognerebbe valutare il vantaggio anche in termini di risparmio per altre voci di spesa assistenziali.
“Questo presuppone voler adottare la politica del ‘no, grazie’ quando si deve pagare un prodotto nuovo ma sovrapponibile a uno già presente sul mercato ma meno costoso – afferma Traversa – occorre definire qual è il contribuito aggiuntivo che possa far accettare il maggior prezzo: ad esempio se per un antitumorale devono essere accettabili 3 o 6 mesi di sopravvivenza”. Evidentemente una questione etica pesante.
…. e l’appropriatezza prescrittiva?
Last but not least, l’appropriatezza prescrittiva, sulla quale c’è ancora da lavorare, come mostrano i dati illustrati da Traversa, che vedono il Lazio consumare per ciascun assistito 5 volte più dosi di farmaci di quelle consumate dagli abitanti veneti o dell’Emilia Romagna.
Ma la qualità del pubblico migliora
Nonostante tutto, però, dal sistema sanitario pubblico giungono anche segnali di miglioramento: “Il servizio pubblico tiene e migliora le sue performance – ha dichiarato Sabina Nuti, responsabile del laboratorio “Management e sanità” della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa – se analizziamo la capacità di miglioramento dei sistemi sanitari rispetto al 2014, dai dati del Sistema di valutazione del Network delle Regioni scopriamo che su 92 indicatori valutati nel 65% dei casi la performance è migliorata e nel 40% si è ridotta la variabilità geografica tra le aziende, il che significa che le Regioni sono riuscite a garantire anche maggiore equità”.
“Gli studi e i dati presentati nel corso dell’incontro – ha concluso il Presidente FIASO, Francesco Ripa di Meana – non collimano con la narrazione dominante secondo la quale i processi di efficientamento e di lotta alla corruzione sarebbero sufficienti a mantenere il nostro sistema di diritto alla salute, così come costruito in 50 anni. E ciò che è più pericoloso, facendo finta che tutto rimarrà come prima senza che sia necessario assumere delle decisioni sulle politiche da adottare. Nel frattempo si susseguono continui interventi sul sistema, che possono rappresentare una opportunità se inquadrati in un processo ben governato, ma che diventano palliativi, o peggio, forme mascherate di razionamento, se inseriti in una narrativa lontana dalla realtà del ‘mal governo da raddrizzare’ e degli infiniti risparmi potenziali”.