Bambini: meno sonno, più obesità e malattie
Nel 2010 la National Sleep Foundation ha stimato che negli Stati Uniti la prevalenza di cosiddetti “short sleeper” (sonno notturno < 6 ore) si aggira intorno al 17-18%. Un trend simile nella riduzione della durata media del sonno si è potuto osservare anche in età pediatrica. Il 45% degli adolescenti dorme meno di otto ore a notte ed un ulteriore 31% tra le otto e le nove ore a notte.
In età pediatrica, per ridotta durata del sonno si intende una durata variabile tra le otto e le undici ore per notte a seconda degli studi. In pratica al di sotto dei 5 anni i bambini dovrebbero dormire almeno 11 ore a notte; almeno 10 tra i 5 ed i 10 anni; almeno nove se l’età è dai 10 anni in su.
“Il sonno – spiega la Dottoressa Elvira Verduci, componente del Consiglio Direttivo della Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (SIPPS) – è un processo fondamentale nella vita di ogni individuo e in età pediatrica contribuisce alla salute e alla crescita del bimbo. E’ recente l’ipotesi di una possibile associazione tra ridotta durata del sonno ed obesità. I cambiamenti dello stile di vita, con impegni legati soprattutto agli orari di lavoro, hanno reso comune l’abitudine di dormire meno”.
Rapporto tra sonno e obesità
Le conseguenze di un numero di ore di sono insufficienti sono numerose e sembra possibile che, oltre al problema dell’obesità, un riposo ridotto possa favorire l’insorgenza di malattie croniche.
“Oltre alle classiche conseguenze di un ridotto riposo come sbalzi di umore, irritabilità e difficoltà di concentrazione – aggiunge il Dottor Paolo Brambilla, Coordinatore del Gruppo di lavoro della SIPPS “Obesità e stili di vita” – la durata del sonno sembra essere associata a patologie croniche: non solo obesità ed insulino-resistenza ma anche diabete mellito di tipo 2, disturbi cardiovascolari ed aumentata mortalità. La metanalisi degli studi pediatrici mostra come per ogni ora di sonno in più il rischio di sovrappeso e obesità risulti ridotto in media del 9%. Studi epidemiologici suggeriscono infatti che soggetti, sia adulti che bambini, definiti come “short sleepers” tendono ad avere un maggiore indice di massa corporea (BMI), una maggiore percentuale di grasso corporeo e una maggiore circonferenza della vita nei confronti di chi rispetta le ore di sonno raccomandate. Anche la regolarità, e non solo la durata media, del sonno sarebbe importante a fini preventivi”.
Per spiegare l’associazione tra diminuzione delle ore di sonno ed aumentato rischio di obesità sono stati ipotizzati diversi meccanismi. Tra questi:
- aumento dell’appetito, dovuto ad un’alterazione dei neuropeptidi coinvolti nella regolazione dell’appetito stesso
- aumento del tempo disponibile per assumere alimenti ricchi di calorie durante la giornata
- stanchezza e riduzione dell’attività fisica
Mangiare bene, dormire meglio
A tale proposito il recente studio europeo HELENA ha osservato le abitudini nutrizionali, l’attività fisica e la durata del sonno di 3.311 adolescenti provenienti da 10 Paesi europei, tra cui l’Italia.
Oltre a confermare la presenza di un BMI più elevato negli “short sleepers”, curiosamente nei soggetti in cui la durata del sonno era inferiore alle 8 ore per notte è stato riscontrato un aumento dell’appetito per i prodotti alimentari ad alto contenuto di grassi e carboidrati, come patatine, pizza e hamburger. Al contrario, la proporzione di adolescenti che consuma più frequentemente frutta, verdura e pesce è maggiore in chi dorme più a lungo (> 8 ore).
La minore durata del sonno riscontrata nei bambini con più alto BMI può essere legata alla vita meno attiva che essi conducono. D’altro canto, soggetti che dormono meno tendono a presentare maggiore sonnolenza diurna e maggiore astenia che li porta normalmente a ridurre l’attività fisica praticata durante il giorno. Potrebbe così determinarsi una sorta di circolo vizioso tra la ridotta durata del sonno e lo scarso dispendio energetico, in grado di autoalimentarsi.