Quando i bambini non mangiano: errori da evitare
Videointervista Prof. Giovanni Corsello “Le nuove emergenze pediatriche”
Per il 25% dei bimbi sotto i sei anni sedersi a tavola è uno stress e, anche se nella maggior parte dei casi il problema si risolve con poche semplici regole, ci possono essere casi più gravi, con sintomi che assomigliano molto a quelli dei disturbi alimentari dei ‘fratelli’ più grandi. Si tratta dei cosiddetti Nofed (Non-Organic Feeding Disorders).
Picky eaters: di che si tratta?
I Nofed, spiega Claudio Romano, pediatra dell’Università di Messina, riguardano il 25% dei bambini sani e l’80% di quelli che hanno qualche problema di sviluppo. Nel 15-30% dei casi a causarli sono problemi organici, mentre per l’80% si tratta di disturbi della sfera psicologica. “La forma più frequente di disturbo della condotta alimentare di tipo non organico è costituita dai ‘picky eaters’, bambini che hanno in media delle ridotte assunzioni spontanee nel corso della giornata a cui si associa una avversione verso il cibo o che non provano alcun “piacere” a tavola. Per fortuna nella maggior parte dei casi questi bambini sono vivaci e svolgono regolarmente la loro attività. Il ruolo del pediatra in queste condizioni è quello di rassicurare la famiglia che spesso considera questo comportamento alimentare come espressione di una condizione patologica. La fascia di età più interessata è quella tra i 3 e 6 anni”.
Oltre che per i bimbi, il problema è stressante anche per i genitori.
Disturbi della condotta alimentare: attenzione allo svezzamento
“Il comportamento dei genitori – ha proseguito Claudio Romano – nei confronti di un figlio “picky eater” rappresenta il più importante fattore coadiuvante la persistenza o l’accentuazione del problema. Infatti pur di assicurare, secondo loro, una alimentazione adeguata sono disposti a tutto. I comportamenti più frequenti sono quelli di offrire il latte di notte durante il sonno (nel bambino tra i 2-3 anni), o di assumere un atteggiamento persecutorio nei confronti del bambino rispetto al cibo, associato spesso a forzature. Un altro comportamento da eliminare è costituito dal consentire “distrazioni” durante il pasto (gioco, televisione). Il bambino deve consumare il pasto seduto a tavola”.
I primi problemi possono nascere già dallo svezzamento, altro momento che genera ‘panico’ nei genitori, ma secondo il Dr. Romano più che affidarsi a metodi strampalati, magari trovati sul web o attraverso le amiche, è sufficiente una semplice regola. Il rischio può’ essere ridotto offrendo prima dei 9 mesi anche alimenti dal “forte gusto” quali i vegetali, pomodoro ed agrumi. Dal 10° mese in poi può’ essere offerta un’alimentazione da “adulto” e senza limiti, rispettando però i gusti del bambino (alimentazione responsiva). Uno svezzamento “troppo lento” e con tardiva introduzione dei “gusti forti” può favorire l’instaurarsi di un “comportamento alimentare di tipo neofobico, in cui alimenti nuovi vengono rifiutati”.
Ma quando un disturbo deve far preoccupare? La presenza di sintomi clinici di tipo gastrointestinale quali il vomito, la diarrea e principalmente l’arresto della crescita o la perdita di peso rappresentano dei campanelli d’allarme che devono indurre ad un approfondimento diagnostico per escludere cause di natura organica. Anche eventuali sintomi di tipo extragastrointestinale, quali la presenza di un ritardo dello sviluppo psicomotorio (linguaggio, deambulazione), possono correlarsi ad un disturbo del comportamento alimentare di tipo organico.