Fibrosi Polmonare Idiopatica: Pamrevlumab possibile nuova cura
La Fibrosi Polmonare Idiopatica (IPF) è una “malattia rara” dei polmoni caratterizzata da una progressiva perdita della funzione respiratoria. Pamrevlumab, un anticorpo monoclonale, rallenta la progressione della Fibrosi Polmonare Idiopatica (IPF) bloccando una molecola chiave, il Connective Tissue Growth Factor (CTGF). Il CTGF, a sua volta, è una delle molecole al centro del processo di deposizione del collagene. Questo processo, coinvolto nel fisiologico meccanismo di cicatrizzazione dei tessuti, è anche responsabile dell’anomala deposizione di collagene nelle fibrosi polmonari.
Queste le conclusioni di uno studio coordinato dal Policlinico Gemelli IRCCS di Roma che apre nuove prospettive per la cura della fibrosi polmonare idiopatica, una malattia rara la cui diffusione è però destinata ad aumentare, complice l’invecchiamento della popolazione e l’aumento delle diagnosi precoci.
Pamrevlumab e Fibrosi Polmonare Idiopatica
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista The Lancet Respiratory Medicine ed è stato coordinato. Il trial clinico ha arruolato 103 pazienti affetti da IPF in 7 nazioni e ha mostrato che il trattamento con una dose (30 mg per chilo di peso del paziente) di pamrevlumab per via endovenosa ogni 3 settimane per la durata di un anno rallenta la perdita di funzione respiratoria di circa il 60%, rispetto a una sostanza placebo. Inoltre il farmaco sembra avere effetti positivi sulla qualità di vita dei pazienti e sull’indice di fibrosi (che si usa per misurare la gravità della malattia).
Fibrosi Polmonare Idiopatica: che cos’è?
La fibrosi polmonare idiopatica (IPF) è una malattia dei polmoni caratterizzata da una progressiva perdita della funzione respiratoria, che conduce alla morte generalmente per insufficienza respiratoria in media dai 3 ai 5 anni dopo la diagnosi (purtroppo solo circa il 30% dei pazienti sopravvive 5 anni dopo la diagnosi, una prognosi peggiore della maggior parte delle patologie oncologiche). Si calcola che in Italia circa 5.000 nuovi casi di malattia siano diagnosticati ogni anno.
Si tratta della forma più grave tra le varie fibrosi polmonari e colpisce più spesso individui di sesso maschile, ex fumatori, generalmente dopo i 55 anni di età.
Pur essendo considerata una malattia rara, l’IPF è la causa di morte in circa 20 persone ogni 100.000, con un trend in crescita negli ultimi anni.
La causa della fibrosi polmonare idiopatica è tuttora sconosciuta, anche se alcuni fattori di rischio sono stati identificati, tra cui il fumo di sigaretta, il reflusso gastroesofageo, virus respiratori ed esposizioni a inquinanti ambientali. In alcuni casi esiste una familiarità e circa il 30% del rischio di ammalarsi è su base genetica.
Fibrosi Polmonare Idiopatica: sintomi e terapia
I sintomi principali sono la fatica a respirare (soprattutto a seguito di sforzi fisici) e la tosse secca. Il sospetto diagnostico viene posto in genere sulla base di un esame Tac ad alta risoluzione del torace.
Attualmente sono disponibili due farmaci (nintedanib e pirfenidone) che rallentano la progressione della malattia (la velocità di perdita della funzione polmonare) di circa il 50%, anche se purtroppo nessuno dei due farmaci ha dimostrato di migliorare la sopravvivenza o la qualità di vita dei pazienti.
IPF: i prossimi passi
L’insieme dei risultati raggiunti da questo studio, sono la base del successivo studio di fase 3, denominato ZEPHYRUS, che arruolerà a livello globale circa 600 pazienti in un disegno verso placebo per la durata di un anno.
“Lo studio – spiega il professor Luca Richeldi Direttore dell’Unità di Pneumologia del Policlinico Gemelli IRCCS – che ha già arruolato i primi pazienti e che auspicabilmente confermerà i promettenti dati emersi dallo studio di fase 2, sarà coordinato a livello mondiale dalla Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS”.