Intervista ad Emila Grazia De Biasi, Presidente della Commissione Igiene e Sanità del Senato
La Commissione Igiene e Sanità del Senato ha avviato le sue attività in questa legislatura procedendo ad un’estensiva indagine conoscitiva sulla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale. SalutePiù ha incontrato il suo Presidente, la Senatrice Emilia Grazia De Biasi, per fare il punto sulle prime riflessioni fin qui effettuate.
Presidente De Biasi, la sua commissione ha avviato in questo inizio di legislatura un’indagine conoscitiva sulla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale, ce ne racconta gli obiettivi ?
La Commissione ha deciso di condurre una indagine conoscitiva sulla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale da un punto di vista particolare, ovvero quello della universalità, della solidarietà e dell’equità del sistema. Abbiamo cioè scelto di non dare all’indagine un taglio precipuamente economico perché riteniamo che oggi il problema principale sia quello di stabilire se esista ancora una coerenza con i questi principi. Tra l’altro, l’indirizzo dato alla nostra indagine si integra bene con quello più economico che caratterizza l’analoga indagine che sta in questo momento conducendo la Commissione Affari Sociali della Camera. Per fare un esempio di cosa intendiamo, proviamo a porci una domanda: quando l’esenzione rispetto al ticket arriva all’80% vi è un problema di compatibilità?Non è forse arrivato il momento di differenziare il pagamento in base al reddito reale? In modo tale che chi può pagare un qualcosa paghi e invece, finalmente, chi non è in grado di pagare possa comunque accedere a quello che è un diritto universalmente sancito, e cioè il diritto alla salute. Infatti, come lei sa, il dramma di quest’epoca di crisi è che i cittadini iniziano a rinunciare a curarsi. Ovvero, tra i consumi che le persone tagliano vi sono quelli alimentari – e questo pone un problema rispetto alla prevenzione che si fonda anzitutto sugli stili di vita e, in misura importante, anche su di una alimentazione corretta – e, inoltre, sempre di più rinunciano alle prestazioni sanitarie. Questo è un disastro per il sistema poiché ciò che non viene prevenuto dovrà poi essere curato. Soprattutto, però, dal punto di vista dei valori, viene meno il concetto di salute come benessere psichico e fisico da ricercare da parte di ciascuno e dello stare bene dell’individuo in un contesto di persone che stanno bene.
Dalle prime audizioni effettuate emergono elementi che già forniscono spunti di riflessione interessanti?
Gli spunti di riflessione sono già parecchi, provo a fare un rapido elenco dei principali. Innanzitutto i Livelli Essenziali di Assistenza, i LEA, che vanno fortemente aggiornati: abbiamo di fronte un emergere di patologie e di disagi diversi rispetto al passato, in primis la cronicità che è la malattia del millennio. Questo comporta una riorganizzazione del sistema sanitario in un rapporto rinnovato tra ospedale e territorio. Si tratta di uno dei punti dolenti del nostro sistema: i servizi territoriali sono infatti spesso quelli più in grado di rispondere alle problematiche della cronicità e ai disagi della nostra epoca, penso ad esempio alla salute mentale, ma anche quelli meno attrezzati. Proprio sulla salute mentale noi marchiamo il passo ed è necessario lanciare un allarme. Io credo che sarebbe vergognoso se questo parlamento e questo governo non fossero in grado di procedere alla chiusura definitiva degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari in favore di strutture più umane, strutture che però richiedono una forte territorialità. I servizi territoriali che si occupano di salute mentale vanno rafforzati: noi non possiamo pensare che quelli che vengono definiti “i dolori dell’anima”, e che sono spesso stati di difficoltà momentanei nella vita di un individuo, possano essere risolti all’interno di un ospedale. Un altro argomento fondamentale ed emergente è quello della non autosufficienza che anch’esso richiede una capacità di intervento sul territorio. E’ un impegno grande, che deve vedere coinvolto lo Stato, nel senso più pieno, perché si tratta di un impegno nel tempo in quanto è necessario affrontare il grande tema del “dopo di noi”, cioè del cosa succede dopo che i genitori di chi non è autosufficiente muoiono. Si tratta di una problematica che nei momenti di crisi rischia di diventare un obiettivo debole e non finanziato. Un altro tema sono le difformità tra i servizi sanitari regionali su cui è necessario intervenire nell’ambito della riforma del Titolo V della Costituzione: senza tornare ad un irrealistico centralismo bisogna però capire come far partire tutte le regioni con “pari opportunità” affinché possano giungere a risultati qualitativamente interessanti ed omogenei e come si possa anche operare quel risparmio che non può essere dato dai tagli lineari ma da una verifica sul campo di quali siano effettivamente i problemi. Insomma, l’universalità deve essere ‘universalmente’ garantita.
Nello scenario della sanità italiana hanno ormai sviluppato un ruolo importante i Fondi Integrativi Sanitari, in quale ottica li considererete in quest’analisi della sostenibilità del SSN ?
E’ uno dei temi che affronteremo verso la fine dell’indagine conoscitiva perché vogliamo avere ben chiaro il quadro generale. Sulla sanità integrativa il dibattito dura da anni, si tratta di scelte delicate: vi è il rischio di una sanità privata che si sostituisca a quella pubblica mentre “integrativo” significa un’altra cosa. Già esistono situazioni, quali le liste d’attesa o i ticket, che rischiano di rendere meno competitivo il servizio pubblico: c’è un tema che riguarda l’efficacia ed in ultima analisi anche l’equità del sistema sanitario. Ci sono differenze tra i comparti: ad esempio, nell’odontoiatria i cittadini si rivolgono prevalentemente al privato. Bisogna però arrivare ad una soluzione: i cittadini non possono pagare due volte la stessa prestazione, una con il prelievo fiscale, l’altra con le proprie tasche. Si tratta di un tema da affrontare, però starei molto attenta a non assolutizzare, a non farne un modello: oggi noi abbiamo una tra le poche sanità universalistiche d’Europa e quindi prima di cambiare questo che è un modello importante bisogna procedere con cognizione di causa.
E per quanto riguarda la sanità privata che, soprattutto in alcune regioni, rappresenta una risorsa importante per rispondere alla domanda di salute dei cittadini, ritiene che i nuovi modelli di sostenibilità la vedranno pienamente integrata nel sistema ?
Penso che sia finito il tempo della battaglia ideologica, di pubblico contro privato. La crisi impone a tutti un comportamento virtuoso, sia al pubblico che al privato. Personalmente credo in un rapporto tra pubblico e privato se questo serve a moltiplicare le opportunità di buona sanità. Il diritto alla salute deve avere al centro anzitutto il cittadino, perché è il suo diritto alla salute. Se deve essere un semplice trasferimento di fondi dal pubblico al privato, questo penso sia sbagliato perché tende semplicemente a far divenire residuale il ruolo del pubblico e non risolve il problema degli sprechi.
Cambiando argomento, un tema di assoluta attualità è costituito dal contenzioso relativo alla responsabilità professionale dei medici aggravato da una certo livello di indeterminatezza della legislazione di riferimento e dalla difficoltà a trovare adeguate coperture assicurative. E’ un tema emerso anche nelle vostre audizioni ?
Si, si tratta di un tema fortemente sentito e su cui è necessario intervenire. Credo che sia necessario valutare la situazione con grande equilibrio: oggi le assicurazioni sono molto costose e si tratta di importi alle volta addirittura insostenibili, ad esempio, per i giovani. Anche su questo punto ritengo si debba legiferare e realizzare un normativa specifica, che salvaguardi le professioni sanitarie. Non credo che infatti la responsabilità possa sempre ed esclusivamente essere messa in capo al singolo, vi è anche una responsabilità dell’organizzazione. Ovviamente, esistono specifiche responsabilità professionali, ma è necessario individuare meccanismi ad hoc, ad esempio la creazione di un fondo comune per far fronte a tali eventi. Esiste inoltre un interesse più generale: non possiamo infatti non vedere quanto tutto questo porti poi a quella che si è soliti chiamare la “medicina difensiva” la quale a sua volta genera inappropriatezza nelle prescrizioni, soprattutto diagnostiche, nel timore di eventuali atti legali. E’ ovvio che ci vuole una grande vigilanza sulla qualità delle prestazioni erogate dalle strutture sanitarie ma è poi necessario individuare modus operandi equilibrati perché non è neanche possibile penalizzare sempre e soltanto gli operatori sanitari.
Il 25 ottobre scade il termine ultimo per recepire la Direttiva Europea che consentirà ai cittadini europei di curarsi in uno stato diverso dal loro. Che effetto avrà questa norma sul SSN ed è già possibile intravedere i criteri a cui si ispirerà la norma italiana di recepimento ?
Questo è uno di quei temi che riguarda l’armonizzazione delle politiche nazionali in chiave europea. In altre parole, il contesto in cui applicare la direttiva europea non può essere un contesto esclusivamente nazionale: bisogna che anche l’Europa faccia la sua parte nel senso che fra le nazioni europee c’è una grande disomogeneità dal punto dei vista della qualità, delle professionalità impiegate, dell’efficacia e dei costi E’ necessario un lavoro di armonizzazione che allo stato attuale io non vedo né da parte dell’Italia né, men che meno, da parte dell’Europa. Qui ci sarebbe da fare un ragionamento più ampio: la ricerca e la cultura scientifica non hanno nel nostro paese la giusta attenzione ed il giusto apprezzamento. Basti pensare alla dipendenza dall’estero per quanto riguarda i nuovi farmaci e la scarsità di brevetti italiani. Se la comunità scientifica guarda all’Italia come un paese arretrato sarà molto difficile che vi possa essere una permeabilità, un’attrazione verso la medicina italiana. Il tema è quello dell’eccellenza e l’Italia ha punti di eccellenza sia nella ricerca che nel sistema di cure specialistiche. Bisogna però creare la credibilità nei confronti dell’Europa e questa credibilità si crea valorizzando e non deprimendo le eccellenze. E’ necessario meno provincialismo da parte degli italiani nel continuare a lamentarsi di una sanità che certamente ha dei problemi ma che è una buona sanità ma anche un po’ più di coraggio da parte dell’Europa nel riconoscere le eccellenze e la qualità della sanità italiana.