Intervista a Luigi Conte, Segretario Nazionale della FNOMCeO
Luigi Conte, Direttore della Struttura Dipartimentale di Day Surgery dell’Azienda Ospedaliera Santa Maria della Misericordia di Udine, è nel contempo Segretario Nazionale della FNOMCeO, ovvero la federazione che riunisce tutti gli Ordini Provinciali dei medici italiani rappresentando, dunque, tutta la classe medica al di là dei confini geografici e delle specificità professionali. SalutePiù lo ha incontrato proprio per raccogliere un parere quanto più possibile super partes rispetto alle dinamiche nel nostro sistema sanitario.
Dottor Conte, il futuro del Servizio Sanitario Nazionale è una preoccupazione crescente per tutti gli operatori della sanità. Voi che rappresentate tutti i medici, al di là della specifica attività professionale svolta, quali criticità vivete come più urgenti ?
La criticità più importante nasce dal fatto che sia questo Governo come il precedente, in un momento di forte crisi economica, abbiano scelto la strada più facile per contenere la spesa pubblica in generale e quella sanitaria in particolare, ovvero quella del taglio lineare delle risorse. Tra il 2011 ed il 2015, infatti, il Sistema Sanitario Nazionale subirà una taglio di budget di circa 30 miliardi di euro realizzato attraverso la riduzione dei posti letto, il blocco delle assunzioni ed altre misure applicate comunque in modo lineare.
Ciò significa che a farne le spese sono e saranno indiscriminatamente tutti: le eccellenze del nostro sistema sanitario, che già avevano attuato misure di efficientamento, e quelle organizzazioni che invece non lo avevano fatto. Con questo approccio le strutture sanitarie virtuose si troveranno a subire ulteriori tagli, nonostante le azioni già intraprese, e, alla fine, tutto ciò si trasformerà in un razionamento delle prestazioni sanitarie che sarà possibile erogare ai cittadini.
Quali sono gli interventi strutturali che FNOMCeO ritiene invece necessario porre in essere, sia a tutela dei diritti del “cittadino-paziente” che della professione medica ?
Noi crediamo che sia necessario percorrere una strada diversa, fatta sì di razionalizzazione e risparmi sugli sprechi, ma anche di reinvestimento all’interno del sistema di quanto così risparmiato. Si tratta di generare una crescita del livello di servizio per i cittadini in ottemperanza anche di quanto sancito dall’articolo 32 della Costituzione con riferimento al Diritto alla tutela della Salute.
La FNOMCeO ritiene che sia possibile arrivare a portare a casa risparmi addirittura nell’ordine del 20% ma con misure ben diverse dal taglio lineare. Innanzitutto si tratta di far tesoro e diffondere le migliori pratiche mediche riscontrabili all’interno del nostro sistema sanitario: ciò significa migliorare i processi di cura e ridurre l’inapropriatezza, le complicanze, la durata delle degenze, e così via.
Poi vi è il tema del coordinamento dell’assistenza, in primo luogo tra cure primarie e ricovero ospedaliero, con l’obiettivo di ridurre l’eccessivo ricorso ai ricoveri per patologie lievi o croniche non riacutizzate che sono fonte di costi rilevantissimi. Segue il tema del sovrautilizzo di interventi diagnostici e terapeutici, si tratta di un argomento da un lato sociale e culturale e dall’altro e professionale.
Da una parte vi sono i pazienti, che spesso si sentono più sicuri e più seguiti al crescere della numerosità delle prestazioni di diagnostica o terapia a cui vengono sottoposti, e questo è un problema, diciamo così, culturale e sociale che sfocia nel “consumerismo”. Dall’altra vi sono i medici, costretti ad una “medicina difensiva” causata dalla crescente mole di denunce e procedimenti giudiziari, e questo è un problema che va affrontato a livello di normative nazionali.
Aggiungerei poi all’elenco l’eccessivo carico di burocrazia a cui sono sottoposti i medici, che dovrebbero invece occuparsi dei malati: bisogna ridurre il carico di burocrazie ed aumentare l’efficienza delle strutture amministrative di cui pure SSN dispone in gran numero. Penultimo argomento sono i “costi standard”.
Un’attenta verifica dei bilanci sanitari regionali e delle aziende sanitarie ed ospedaliere ha rivelato come lo stesso oggetto o la stessa prestazione costi in modo radicalmente diverso a seconda della Regione dove avviene l’acquisto o l’erogazione. Questo non può essere: ci vuole un ente centrale che garantisca l’ottimizzazione del processo d’acquisto. Infine ci sono la frode e la disonestà, assurte recentemente agli onori della cronaca, che vanno eliminate alla radice e questo è compito della Magistratura ma anche della buona politica. Noi vorremmo che i medici non fossero considerati un costo, ma una risorsa. Che le scelte di politica sanitaria ci vedano coinvolti, perché alla fine siamo noi che, attraverso l’attività quotidiana, abbiamo realmente il polso del sistema.
Da alcuni anni, la sanità italiana ha visto la nascita di nuove forme di collaborazione tra operatori per migliorare le modalità di gestione dei servizi sanitari: ad esempio le reti cliniche o le cooperative di medici di famiglia. Voi avete proposte specifiche in questo tipo di ambiti ? Esistono nuove modalità di offerta dei servizi sanitari che possono migliorare la qualità del servizio che i cittadini ricevono ?
In questa fase di ripensamento del Sistema Sanitario Nazionale, riorganizzare la modalità di gestione ed erogazione delle cure è una priorità fondamentale. Dunque nuove forme di gestione devono essere non solo guardate positivamente ma anche ricercate. Ad esempio, il concetto di “gruppo” applicato alla medicina di base rappresenta un miglioramento dell’assistenza.
Nello specifico, ma anche più in generale, osservo però che per riconvertire c’è bisogno di investimenti: quello che si risparmia e si risparmierà dalla riduzione degli sprechi va investito sull’innovazione. Passando invece al mondo delle cure ospedaliere, qui riteniamo che sia necessario effettuare un cambiamento importante passando dall’attuale concezione che vede i singoli reparti strutturati intorno ad una determinata branca o patologia ad un’organizzazione guidata dal concetto di “intensità di cure”, cioè aggregando le risorse umane, tecnologiche e via dicendo a seconda dei ruoli e delle esigenze necessari per gestire quel livello di intensità di cura. Utilizzo come esempio il day surgery che è il mio campo di attività specifico: il day surgery consentirebbe di soddisfare il 75% delle esigenze chirurgiche. Se si diffondesse, potremmo liberare risorse da quei reparti per dedicarle ad altre attività che richiedono una maggiore intensità di cura. Invece, dopo un picco nel 2005, la diffusione del day surgery sta regredendo a causa della mancanza di attenzione e convinzione del management sanitario. Come dicevo prima, la professione medica deve essere più ascoltata da chi si occupa delle programmazione sanitaria e del management generale delle aziende, perché conosce per esperienza diretta i problemi dell’operatività e, alle volte, anche le loro soluzioni.
E relativamente alla problematica dell’intramoenia e delle relative “incompatibilità” tra svolgimento dell’attività professionale in ambito pubblico e privato, come vi ponete ?
La libera professione non deve essere demonizzata a priori: è un ulteriore contributo alla soluzione dei problemi dei cittadini e risponde alle esigenze di coloro che desiderano un rapporto fiduciario con un dato professionista. Certamente possono esservi comportamenti opportunistici da parte di qualcuno, ma non possiamo fare di tutte le erbe un fascio: il problema è la mancanza di strumenti di controllo in un sistema che va avanti da anni in base a continue proroghe invece che attraverso soluzioni strutturali.
Poi c’è il tema dell’intramoenia allargata, cioè quella praticata al di fuori delle mura dell’ospedale perché all’interno non vi sono gli spazi necessari. A questo proposito, mi viene naturale di osservare come in passato il bilancio del SSN prevedesse apposite voci di spesa per finanziare i necessari adeguamenti da parte degli ospedali. Quindi, se è necessario ricorrere a questo tipo di soluzioni, ciò non può essere imputato ai medici ma, semmai, alle aziende sanitarie nell’ambito delle quali essi prestano la loro opera. Evidentemente, allo stato attuale, vi è assai poco controllo sulla qualità delle strutture esterne in cui l’intramoenia allargata viene svolta. C’è bisogno di chiarezza: bisogna guardare avanti ed individuare soluzioni strutturali realmente percorribili e che mettano, come sempre deve essere, al centro dell’attenzione le esigenze del paziente ed il livello del servizio che gli viene offerto.