Intervista a Paolo Togninelli, direttore del Museo Archeologico di Monterotondo
Con l’intervista aPaolo Togninelli, SalutePiù inizia il suo viaggio tra i musei della Sabina: opportunità preziose per conoscere le radici più antiche del nostro passato.
Archeologo e Professore di Archeologia all’Università Americana “John Cabot”, Direttore del Museo Archeologico Territoriale di Monterotondo, Responsabile del Servizio Cultura, Turismo, Politiche Giovanili e Tempo Libero del Comune di Monterotondo, Paolo Togninelli è certamente la persona giusta con cui avviare un percorso alla scoperta delle molte, imporanti ma spesso poco conosciute testimonianze archeologiche di cui è ricco il territorio sabino e, in questo caso, più specificamente, eretino. Testimonianze, queste, che Paolo Togninelli conosce come pochi altri essendo anche autore di numerosi articoli scientifici su questi territori nell’antichità.
Dottor Togninelli, forse non tutti i nostri lettori conoscono in modo puntuale l’attività archeologica che da molti anni interessa il territorio di Monterotondo e le istituzioni ad essa preposte. Può iniziare raccontandocene la storia ?
L’impegno dell’amministrazione comunale in campo archeologico nasce nel 2002 quando a Monterotondo venne organizzata la mostra “Archeologia Ferita” dove erano esposti i reperti di scavo trafugati dai cosiddetti “tombaroli” e recuperati nel nostro territorio dalle Forze dell’Ordine. L’aggettivo “ferita” voleva proprio evidenziare l’irreparabilità del danno che è causato dagli scavi clandestini i quali compromettono per sempre la possibilità di ricostruire i nostro passato, che è il fine ultimo dell’archeologia. Tornando però alla mostra, questa riscosse un grande successo e portò il Comune alla decisione di renderla stabile creando il Museo Archeologico. Si trattò di una decisione particolarmente felice in considerazione del fatto che ancora oggi esiste una ridotta conoscenza delle antiche modalità abitative e delle fasi storiche di questo territorio e che un museo, lungi dall’essere un inerte deposito dove gli oggetti sopravvivono decontestualizzati dal loro uso quotidiano, si pone proprio come istituzione deputata alla ricerca ed alla diffusione di quanto scoperto.
Dunque possiamo dire che l’idea era anche quella di sviluppare una “coscienza archeologica” nel territorio eretino ?
Direi proprio di si. Le attività di un museo sono fondamentalmente tre: sviluppare progetti educativi, acquisire reperti e conservarli. Per quanto riguardail primopunto, abbiamo avuto una grande riscontro con un’attività didattica dedicata anzitutto alle scuole dove, addirittura, era necessario prenotare con sei medi d’anticipo le visite guidate al museo. A quest’attività rivolta ai più giovani, abbiamo affiancato un’attività di convegni e di visite guidate, anche di siti esterni al museo, rivolta agli adulti che ha fatto spesso registrare il tutto esaurito. Per quanto riguarda l’acquisizione dei reperti, siamo partiti con un primo nucleo proveniente dalla mostra “Archeologia Ferita” che abbiamo poi arricchito con campagne di scavo finanziate dal Comune e dedicate a Crustumerium, dove abbiamo individuato tombe del VII e VI secolo, ed a Cretone, dove abbiamo individuato tombe risalenti al VI secolo. Parallelamente si è sviluppata la campagna di scavi che l’Archeoclub di Monterotondo ancora conduce nell’area di Tor Mancina, in relazione al tracciato romano della Via Nomentana, e che ha consentito il rinvenimento anche di tombe patrizie romane. Questi materiali sono stati restaurati e studiati e sono entrati a far parte del patrimonio del museo. Bisogna anche evidenziare come anni di campagne di scavo e di studio ci hanno consentito di realizzare una “mappa archeologica” del nostro territorio, di cui non si disponeva, e che rappresenta non solo uno strumento basilare per l’archeologo ma che potrebbe costituire anche un prezioso supporto per la gestione urbanistica di Monterotondo.
Oggi l’attività espositiva del Museo si è interrotta in attesa che sia pronta la nuova prestigiosa sede costituita dalle sale affrescate di Palazzo Orsini. Quali opportunità si apriranno per l’istituzione?
Certamente avremo finalmente un Museo Archeologico che si potrà avvalere di una sede non solo splendida ma anche in grado di valorizzare al meglio la collezione archeologica inserendole in un contesto di assoluta bellezza. Di questo dobbiamo anzitutto rendere merito al nostro Sindaco che, fin dai primi momenti del suo insediamento, ha deciso di rinunciare ad una sede particolarmente importante per i suoi uffici rendendo viceversa possibile a tutta la cittadinanza di ammirare la parte più bella di Palazzo Orsini. Si tratta di una decisione che si riverbera positivamente sia sul Museo Archeologico, che nelle sale affrescate ospiterà i reperti di Crustumerium, che per gli affreschi stessi, dovuti al Siciolante ed al Brill, che oltre a venir restaurati, potranno in futuro godere di ambienti in cui il microclima sarà attentamente gestito in modo da garantirne la conservazione ottimale. Il nostro obiettivo, adesso, è di terminare l’allestimento e di rendere nuovamente disponibile al pubblico il museo entro il 2011.
Il “volontariato” gioca ruoli sempre più rilevanti in tutti i campi della nostra società. Credo che Monterotondo questo fatto emerga fortemente.
Sì, non c’è dubbio: l’Archeoclub di Monterotondo collabora con il museo e la sua attività di scavo è fondamentale per il suo sviluppo. Poi c’è l’Associazione Micologica Eretina che ci ha dato un supporto imprescindibile per l’organizzazione delle attività culturali, soprattutto quelle legate alle visite esterne al museo. In realtà un piccolo museo non può far a meno dei volontari per gestire le sue attività: ipotesi diverse si scontrerebbero con costi insostenibili. Poi vi è un valore morale intrinseco nell’attività dei volontari perché sono cittadini che testimoniano con la loro presenza l’importanza che la sua storia deve avere per un territorio.
Un ultima domanda: Monterotondo ha un suo complesso di catacombe, quello di San Restituto, purtroppo non scavato né aperto al pubblico. Ce ne racconta la storia ? Esiste una possibilità che ne diventi possibile la fruizione pubblica ?
Effettivamente, nella zona cosiddetta dei Cappuccini, sotto la villa che fu dell’aviatore Fausto Cecconi, esiste una catacomba di epoca tardo imperiale, del III – IV secolo d.C.. La catacomba è stata solo in parte esplorata dal Professor Fiocchi Nicolai che ha poi pubblicato il frutto dei suoi studi. Purtroppo siamo di fronte ad un problema tipico per il nostro patrimonio archeologico e che nasce dal combinato disposto di tre fattori: la scarsità di fondi disponibili, l’abbondanza di beni archeologici sia noti che ancora da scavare e la sovrapposizione delle competenze. Pensi che, trattandosi di una catacomba, oltre alle competenze proprie della Soprintendenza per i Beni Archeologici, questa è sottoposta all’autorità della Pontificia Commissione per l’Archeologia Sacra ed in più si trova in una proprietà privata. Certo, per il nostro territorio lo scavo delle catacombe di San Restituto sarebbe un fatto di rilevante importanza. Temo però che, anzitutto, ci si debba domandare se, visti gli attuali chiari di luna, sia prudente – ammesso di trovare i fondi e superare la burocrazia – pensare di scavare un sito che poi non sappiamo se saremo in grado di mantenere e gestire.