Intervista a Riccardo Cassi, Presidente CIMO ASMD
CIMO ASMD – Coordinamento Italiano dei Medici Ospedalieri – Associazione Sindacale dei Medici Dirigenti – è un sindacato autonomo che rappresenta i medici, i veterinari e gli odontoiatri, qualunque sia la natura del rapporto ed il datore di lavoro, a vantaggio del quale svolgono attività professionale. Fondato nel 1946, rappresenta 15.000 iscritti. Tra i suoi obiettivi quello di valorizzare la professionalità del medico ed il suo ruolo sociale e favorire il corretto inserimento dei giovani medici nell’ambito della professione e dei servizi sanitari. Abbiamo incontrato il suo Presidente Riccardo Cassi per raccogliere la posizione di CIMO sulle attuali dinamiche che interessano il Sistema Sanitario Nazionale.
Presidente Cassi, il futuro del Servizio Sanitario Nazionale così come lo conosciamo oggi sembra essere a rischio. Si tratta di un problema legato alla disponibilità di mezzi finanziari insufficienti o ci sono problematiche organizzative e gestionali che vanno risolte ? Quali sono le criticità secondo CIMO ?
In realtà sono presenti tutti e due gli aspetti. Quello finanziario è legato alle dinamiche generali della spesa pubblica ed ha portato ad una progressiva riduzione dei budget sanitari aggravata dal dissesto registrato in alcune regioni che ha avuto un impatto più generale sull’interro SSN. L’aspetto secondo me più rilevante, però, è quello gestionale e specificamente di come siano state gestite le 21 “sanità regionali” che un’improvvida modifica della nostra Carta Costituzionale ha consentito e consente di condurre in modo autonomistico con poco controllo centrale per di più ex post. L’insieme delle riforme attuate all’inizio degli anni duemila ha inoltre permesso che il peso della politica gravasse sulle scelte aziendali così come non era mai stato, nemmeno ai tempi della USL e dei relativi Comitati di Gestione. Certo, non è possibile né corretto generalizzare, però bisogna osservare che anche le regioni cosiddette “virtuose” sono colpite da scandali che coinvolgono la sanità. Va anche poi constatato come praticamente tutte le regioni abbiano dimostrato nei fatti di non essere in grado di intervenire sulla riorganizzazione delle reti ospedaliere e territoriali mantenendo invece le duplicazioni e gli sprechi esistenti con un aggravio di costi per i cittadini. Un’altra criticità organizzativa da non sottovalutare, è il blocco del turnover nel SSN: i medici sono sottoposti a turni di lavoro eccessivi che mettono a rischio sia la loro salute che quella dei cittadini. In sovrappiù, va anche considerato che il 10% dei medici in servizio è costituito da precari senza un futuro professionale ed una stabilità di rapporto, elemento, quest’ultimo, che rende anche impossibile una loro adeguata formazione visti i ridotti tempi di permanenza nelle strutture.
Avete delle proposte per avviare questi problemi a soluzione ?
CIMO chiede che il Governo ed il Parlamento riportino la salute tra le competenze dello Stato. Che sia il “centro” a stabilire quali servizi e prestazioni garantire a tutti i cittadini e le linee guida per la loro erogazione. Deve anche essere possibile procedere dal centro ad interventi correttivi e di supplenza laddove le regioni mostrino di non essere in grado di riorganizzare il loro servizio sanitario regionale. E’ necessario fermare lo strapotere politico nelle ASL ed introdotto nuovamente il ”governo clinico” restituendo ai medici il potere decisionale che naturalmente spetta loro quando si parli di cura dei pazienti.
Lo Statuto di CIMO afferma il vostro ruolo di rappresentanza di categoria, qualunque sia la natura del rapporto ed il datore di lavoro a cui fa riferimento il vostro iscritto. Invece, quando si guarda alla programmazione sanitaria ed alla politica, sanità pubblica e privata sembrano due mondi a parte. Secondo lei, la loro integrazione è utile, necessaria, oppure no ?
Noi riteniamo che ci debba essere l’integrazione tra tutti i soggetti che operano nell’ambito del SSN. Occorrono però farlo attraverso regole chiare che vengano fatte rispettare, principalmente fondate sull’accreditamento dell’eccellenza, sia per quanto riguarda le strutture che i professionisti che in esse operano.
Lei è toscano, quindi ha l’esperienza di una regione che ha si alcuni grandi centri urbani ma ha anche un vasto e bellissimo territorio caratterizzato da piccoli paesi ed insediamenti rurali. Ora l’accesso ai servizi sanitari in questi casi è più difficile rispetto ad una grande città. Esiste un “Modello Toscana” ?
Innanzitutto, bisogna tener presente che la situazione della Toscana a differenza, ad esempio, del Lazio è caratterizzata dal non avere nel suo territorio una grande metropoli, come Roma, che, diciamo così, tende ad “assorbire” l’intero sistema. La ristrutturazione del sistema sanitario regionale toscano attuata negli anni ’90 era così già all’epoca incentrata sull’istituzione di tre aree vaste corrispondenti ai tre policlinici di Firenze Careggi, Pisa e Siena che fanno da punti di riferimento per altrettante reti territoriali. Si è trattato di una scelta coerente, vorrei dire, con la storia dei nostri territori anche dal punto di vista medico-sanitario e che quindi è venuta naturale. Sono stati contemporaneamente trasformati in punto di primo soccorso i piccoli ospedali e messe in opera un numero consistente di ambulanza medicalizzate. Si è trattato di una soluzione sostanzialmente valida e con la quale abbiamo proceduto fino ad oggi. Proprio in questi mesi, il nuovo piano sanitario regionale sta ridisegnando questa soluzione sostituendo punti di primo soccorso ed ambulanze con il sistema delle Unità Complesse di Cure Primarie e delle Aggregazioni Funzionali Territoriali le quali prevedono una copertura oraria dei medici di famiglia fino alla mezzanotte. Ovviamente è troppo presto per valutare i risultati, ma questa è in sintesi l’evoluzione che sta oggi compiendo il sistema sanitario regionale toscano.