Obesità e diabete: due “epidemie” fin troppo connesse
In Italia, il diabete interessa circa il 4,9% della popolazione, ovvero 3 milioni di italiani dei quali almeno 1 milione è diabetico senza saperlo: questa malattia è, da sola, responsabile di circa il 9% della nostra spesa sanitaria (oltre 9 miliardi di euro l’anno).
Secondo l’International Diabetes Federation, nel 2011 in Europa erano affetti da diabete (tipo 1 e 2) 35 milioni di adulti ma nel 2030 saranno 43 milioni. A livello mondiale – se la prevenzione non assumerà un’importanza diversa – il numero dei diabetici supererà 380 milioni di individui nel 2025 con un incremento triplo in Africa, Medio Oriente, Sud Est Asiatico, doppio in America e Ovest Pacifico, del 50% in Europa.
Se i dati relativi al diabete sono particolarmente preoccupanti, lo è ancora di più il fatto che diabete ed obesità vanno di pari passo: infatti, stanno aumentando in tutto il mondo come una sorta di epidemia, più aumenta l’obesità, più si diffonde il diabete.
Diabete e obesità vanno di pari passo
“Diabete e obesità sono problemi di salute pubblica a forte impatto sociale solo in apparenza distanti. Non solo perché sono uniti da un marker metabolico comune, che è l’insulinoresistenza, ma anche per la condivisione della necessità di prevenire, razionalizzare ed ottimizzare il trattamento dei pazienti, e contenere i costi della malattia”. Così ha affermato il professor Giuseppe Fatati, presidente della Fondazione Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica (ADI) in occasione di Nutrition and metabolism (Nu.Me) – 5° International Mediterranean Meeting 2013.
Diabete Tipo 2: obesità 1° fattore di rischio
“Mentre per il diabete di tipo 1 (insulino-dipendente, caratterizzato dall’esordio durante l’infanzia o l’adolescenza e dalla totale o quasi totale carenza di insulina, che richiede fin dall’inizio una terapia insulinica sostituiva) bisogna intensificare la ricerca per una cura – spiega sempre il Professor Fatati – nel diabete di tipo 2 (diabete mellito non insulino-dipendente, laddove l’insulina è prodotta in modo incostante), che riguarda oltre il 90% della popolazione diabetica, è fondamentale programmare interventi per la prevenzione primaria. Nonostante il diabete di tipo 2 abbia molti fattori di rischio (età, etnicità, fattori genetici, ipertensione, dislipidemia e obesità) l’obesità è stata identificata come il fattore con la più forte associazione a questo tipo di diabete”.
Esistono fattori di rischio su cui è possibile intervenire: il peso, l’alimentazione non corretta e la mancanza di attività fisica. Anche perché l’età di insorgenza del diabete tipo 2 si sta riducendo, con un più precoce riscontro nei giovani e negli adolescenti con problemi di sovrappeso od obesità e che hanno scorretti stili di vita (sedentarietà). Gli ultimi dati di “OKkio alla SALUTE” – sistema di sorveglianza sulle abitudini alimentari e sull’attività fisica dei bambini delle scuole primarie (6-10 anni) – confermano livelli preoccupanti di eccesso ponderale: il 22,2% dei bambini è risultato in sovrappeso e il 10,6% in condizioni di obesità, con percentuali più alte nelle regioni del centro e del sud.
Una volta in presenza di diabete di tipo 1 o 2 occorre fin da subito attuare la cosiddetta “prevenzione secondaria” mirata a rallentare o ad evitare lo sviluppo delle complicazioni tardive. Un ruolo fondamentale è svolto dal mantenimento di soddisfacenti valori di glicemia e soprattutto da buoni livelli di emoglobina glicata (HbA1c).
Emoglobina Glicata per valutare il diabete
“Nei soggetti diabetici, l’iperglicemia causata dall’insufficiente produzione di insulina da parte delle cellule beta del pancreas determina una condizione di stress ossidativo che – spiega Fatati – genera una serie di effetti tessutali, che a loro volta rappresentano i fattori causali delle complicanze responsabili della morbilità e della mortalità associate. Riduzioni anche minime dell’emoglobina glicata (HBA1c) permettono di ottenere una riduzione notevole delle complicanze”. L’intervento deve essere il più precoce possibile per evitare che la cattiva “memoria metabolica”, derivante da un prolungato scarso controllo della glicemia, aumenti il rischio di complicanze macrovascolari con tutti gli esiti che ne conseguono. Peraltro il dosaggio dell’Emoglobina Glicata è un semplice test di laboratorio che consente di valutare se il diabete si mantiene sotto controllo nel tempo.
“Il test dell’emoglobina glicata – conclude Fatati – permette infatti di determinare la qualità media del controllo della glicemia nei 4 mesi precedenti al test e, in tal modo, di valutare l’efficacia di una terapia in atto. La maggior parte dei report nazionali e internazionali evidenzia purtroppo che la terapia del diabete tipo 2 non è né precoce né intensiva, denotando una inerzia terapeutica inaccettabile”.
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